Si è tenuta oggi, 4 settembre, l’udienza in Corte di Giustizia Europea delle cause riunite di diversi operatori delle sale bingo italiane. Nello specifico era prevista l’opinione dell’Avvocato Generale Laila Medina sulle questioni pregiudiziali espresse dal Consiglio di Stato a seguito del ricorso presentato dagli stessi imprenditori contro la proroga onerosa delle concessioni.
Il regime di «proroga tecnica» è stato adottato dal legislatore italiano nel 2013 ed è in vigore da allora in via transitoria in attesa dell’espletamento di una nuova procedura di gara per la riattribuzione di tali concessioni. In forza di tale regime, gli operatori che esercitano un’attività di scommesse relative al Bingo sono tenuti a pagare un canone mensile. Il pagamento di tale canone non era una condizione per l’aggiudicazione iniziale delle loro concessioni e si applica agli operatori del settore in misura fissa, indipendentemente dalla loro capacità finanziaria. Inoltre, tale canone è stato progressivamente aumentato dalla sua adozione. Oltre a ciò, la subordinazione a tale regime e, con essa, al pagamento del canone mensile costituiscono una condizione di partecipazione a una futura procedura di gara, la cui data è stata rinviata più volte dal dicembre 2014 e, attualmente, non è ancora stata fissata.
Le domande sono state proposte nell’ambito di procedimenti avviati dinanzi al giudice nazionale da due associazioni di operatori che esercitano attività di scommesse relative al Bingo e da numerosi operatori di tale settore di attività a titolo individuale. Essi ritengono di essere gravemente pregiudicati dal regime di «proroga tecnica», principalmente dopo la pandemia di COVID-19.
Contestano, in sostanza, la decisione dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (in prosieguo: l’«ADM»), con la quale tale agenzia ha dichiarato di non disporre di un potere discrezionale che le consenta di sospendere o di modificare le condizioni del regime di «proroga tecnica» disposte dal legislatore italiano. Le presenti cause offrono alla Corte l’opportunità di pronunciarsi sull’ambito di applicazione della direttiva 2014/23 e sul potere discrezionale che le amministrazioni aggiudicatrici degli Stati membri potrebbero essere tenute a esercitare per riconsiderare le condizioni di una concessione qualora circostanze imprevedibili, non imputabili ai concessionari, incidano sull’equilibrio economico della gestione di un servizio. Esse consentono inoltre alla Corte di precisare i limiti entro i quali una concessione può essere modificata senza una nuovaprocedura di aggiudicazione conformemente alla suddetta direttiva
Va ricordato che il parere dell’Avvocato Generale, non è vincolante in fase di pronuncia della Corte di Giustizia Europea.
Questo il parere dell’Avvocato Generale Laila Medina:
“Sulla base dell’analisi che precede, propongo alla Corte di rispondere alle questioni sollevate dal Consiglio di Stato (Italia) nei seguenti termini:
– Per quanto riguarda le cause C-728/22 e C-729/22:
1) La direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione deve essere interpretata nel senso che essa si applica a concessioni di servizi, come quelle di cui trattasi nei procedimenti principali, che sono state aggiudicate prima dell’entrata in vigore di detta direttiva e che, una volta scadute, sono state reiteratamente prorogate per via legislativa dopo tale entrata in vigore, purché le condizioni dell’aggiudicazione iniziale siano state modificate in modo sostanziale, circostanza che spetta al giudice del rinvio valutare.
2) L’articolo 43, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2014/23 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che prevede l’obbligo di pagare un canone mensile non contemplato nell’aggiudicazione iniziale, nei limiti in cui essa modifica i parametri economici di base delle concessioni di cui trattasi, ad esempio fissando una misura identica di tale canone per tutti gli operatori del settore, indipendentemente dalla loro capacità finanziaria, e aumentando sensibilmente la misura di detto canone a partire dalla sua prima imposizione. Entrambe le disposizioni ostano parimenti a tale normativa nella misura in cui il pagamento di detto canone rappresenta una condizione per la partecipazione a una futura procedura di gara ai fini della riattribuzione delle concessioni di cui trattasi.
Nell’ipotesi in cui la Corte non condividesse la conclusione di cui al punto 2), propongo allora la seguente risposta aggiuntiva:
3) l’articolo 43, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2014/23 deve essere interpretato nel senso che esso osta a un’interpretazione della normativa nazionale che privi un’amministrazione aggiudicatrice del potere discrezionale di valutare se eventi imprevedibili non imputabili ai concessionari giustifichino una riconsiderazione delle condizioni di una concessione.
4) La direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori deve essere interpretata nel senso che essa non costituisce una base giuridica che consente di mettere in discussione la legittimità di una normativa nazionale come quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che subordina la partecipazione a una futura gara all’adesione a un regime di «proroga tecnica».
Qualora la Corte non condividesse la conclusione di cui al punto 1), almeno parzialmente, propongo allora la seguente risposta aggiuntiva:
5) l’articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che impone al concessionario di accettare le condizioni fissate da tale normativa, ossia l’obbligo di pagamento di un canone mensile non previsto nell’aggiudicazione iniziale delle concessioni per poter partecipare a una nuova gara per la riattribuzione di nuove concessioni. Esso osta altresì a un’interpretazione della normativa nazionale che privi un’amministrazione aggiudicatrice del potere discrezionale di valutare se eventi imprevedibili non imputabili ai concessionari e idonei a incidere sull’equilibrio economico-finanziario delle concessioni giustifichino una riconsiderazionedelle condizioni di una concessione. (IL TESTO INTEGRALE DEL PARERE)