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(Jamma) “Giocassimo a poker, sarebbe un bluff”. Esordisce così il giornalista Gian Antonio Stella in un articolo pubblicato sul Corriere dal titolo ‘Copertura con le accise sui giochi solo un bluff di conti sballati’. “L’idea di coprire il buco dell’abolizione dell’Imu aumentando le accise sui giochi, infatti, non regge- spiega- e anche turandosi il naso davanti a una scelta moralmente discutibile che già ci vede quarti al mondo per soldi buttati nell’azzardo. Lo dicono, inequivocabili, i numeri dei Monopoli. È «cosa buona e giusta» abolire l’Imu, come ripete Berlusconi, perché «produce negatività nelle famiglie che hanno incertezza sul loro futuro e consumano meno»? Certo è che chi segue il settore dei giochi è convinto che sia praticamente impossibile farlo con la ricetta proposta dal Cavaliere: una «revisione delle accise sui giochi, sul lotto».
Sia chiaro: chi è convinto come noi che l’azzardo sia una pestilenza, come ci ricordano anche traumi quali quello di Luigi Preiti che giorni fa sparò davanti a Palazzo Chigi ferendo i due carabinieri («L’ha rovinato il demonio del gioco», dice la moglie), sarebbe tentato di annientare il settore mettendoci le tasse più alte del Creato. Se servisse, però. Il guaio, riconoscono anche i peggiori nemici, è che non si risolverebbe il problema.
Anzi, se c’è del vero nella tesi che l’irruzione dei Monopoli con le sue slot-machine e i suoi giochi legali (380 mila apparecchi distribuiti sul territorio nazionale) ha in qualche modo riassorbito almeno una parte del gioco fuorilegge in mano alle mafie, è possibile che una marcia indietro sarebbe controproducente. E che l’improvviso ritiro dello Stato dal settore, dopo dieci anni passati a spingere gli italiani verso questa specie di crack mentale, potrebbe spalancare spazi enormi alla criminalità organizzata che già gestisce nell’azzardo illegale un’altra ventina di miliardi. E spingere ancora di più gli schiavi del gioco verso gli «sportelli» stranieri.
Già oggi, proprio contando sul vantaggio di non pagare tasse, l’immenso casinò virtuale del Web agganciato a banche di Paesi compiacenti e Stati-canaglia sparsi per il globo, rastrella enormi risorse italiane. Secondo la stima della società inglese Ficom Leisure, considerata la più attendibile e ripresa dall’agenzia Agipronews.it, nel solo 2012 «il volume di gioco dei casinò online “.com”, la definizione in sintesi delle case da gioco su Internet non autorizzate che naturalmente sfuggono al sistema fiscale italiano» è stato di 9,2 miliardi di euro. Il doppio abbondante del peso dell’Imu sulla prima casa. Bene: di tutti quei soldi dei nostri giocatori molti sono tornati con le vincite, ovviamente, ma quelli espatriati e finiti nei conti all’estero di chissà quali società anonime sono stati 276 milioni. Un milione in più dello stanziamento così faticosamente recuperato a gennaio per i disabili. Con un aumento di 44 milioni di euro sul 2011. E il fenomeno, dicono gli esperti, è destinato a crescere, crescere, crescere.
Gelano il sangue, certi numeri. Come i dati di «Source H2 Gambling Capital», che si discostano appena dalle stime dei Monopoli. E dicono che su un monte di 321 miliardi di euro spesi nel mondo nel 2012 nei giochi legali (ripetiamolo: 321 miliardi netti, rimasti agli organizzatori dopo aver pagato le vincite) circa il 25% dei denari buttati nell’azzardo era americano, il 15,6% cinese, il 9,7% giapponese e quasi il 6% italiano. Quarti al mondo.
Siamo i primi in Europa, in questa classifica che non ci fa onore. I primi. Stiamo arrancando da due decenni, non arriviamo al 3% del Pil mondiale ma consegniamo ai biscazzieri il 6% degli incassi planetari. Il doppio dei tedeschi, che pure sono molto più ricchi e ben messi di noi. Prova provata, purtroppo, che c’è uno spread che non può essere aggiustato dalla Bce. Ma solo da noi” conclude Stella.