Il Consiglio di Stato, con sentenza del 13 maggio 2024 ha accolto il ricorso dell’AGCOM contro Google per la violazione del divieto di pubblicità al gioco d’azzardo e relativa sanzione di 100.000 euro.
I fatti risalgono al 2020, quando Google venne sanzionata in base alla norma contenuta nel decreto Dignità perché digitando le parole chiave “Casinò online”, compariva su Google Web Search, comeannuncio pubblicitario, il link al sito internet http://sublime-casino.com con la seguente descrizione “Unisciti Ora Al Nuovissimo Casinò Online Italiano. Gioca Subito A Oltre 400 Giochi – Iscriviti Ora E Registrati In Meno Di 30 Secondi! Nessun download. Sicuro e Protetto” e tale sito conteneva una lista di link ad ulteriori siti web che, in alcuni casi, consentivano di giocare a pagamento online.
Successivamente il Tar Lazio aveva accolto il ricorso di Google Ireland per l’annullamento della delibera con cui l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha adottato una sanzione amministrativa pecuniaria nei confronti della società Google Ireland Limited per la violazione della normativa sul divieto di pubblicità relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro, nonché al gioco d’azzardo di cui al c.d. “decreto dignità”.
Con un primo motivo Google Ireland aveva sostenuto che l’Autorità fosse priva del potere di sanzionare un soggetto stabilito all’estero, in applicazione il principio del “Paese d’origine” in forza del quale un prestatore di servizi della società dell’informazione sarebbe soggetto solo alla legislazione e alla giurisdizione delle autorità dello Stato membro dell’Ue in cui è stabilito.
Con il secondo motivo di ricorso, invece, il ricorrente ha sostenuto che Google Ireland fosse da qualificarsi con riferimento a Google Ads, alla stregua di mero “hosting provider”, il quale, secondo il regime di responsabilità delineato dalla Direttiva UE eCommerce 2000/31 e del relativo decreto legislativo di recepimento n. 70/2003, non può essere chiamato a rispondere del contenuto delle informazioni “caricate” dall’inserzionista sulla piattaforma web messa a disposizione, non essendo neppure tenuto a verificare il contenuto degli annunci.
Il Tar aveva ritenuto fondato questo secondo motivo, escludendo la responsabilità del gestore dalla piattaforma internet per i contenuti illeciti che sulla stessa siano stati inseriti da terzi, e ha annullato la delibera dell’Agcom adottata nei confronti della società Google Ireland Limited.
Il Tar aveva, in particolare, ritenuto che “la mera valorizzazione” del messaggio illecito non è sufficiente “a fondare, nel caso di specie, la responsabilità del gestore della piattaforma per la violazione del Decreto Dignità”. Secondo i giudici, Google Ads è un servizio di hosting e pur non potendosi affermare la totale estraneità del gestore rispetto ai contenuti che diffonde, “è incontestato che l’attività abbia natura automatizzata” e quindi che non vi sia “la manipolazione dei messaggi”. La decisione del giudice amministrativo si pone in linea con quanto affermato dalla Corte di Giustizia nella sentenza n. 236/2008, richiamata dallo stesso Tar, secondo la quale il prestatore non può essere ritenuto responsabile per i dati che ha memorizzato su richiesta di un inserzionista salvo che, essendo venuto a conoscenza della natura illecita di tali dati o di attività di tale inserzionista, egli “abbia omesso di prontamente rimuovere tali dati o disabilitare l’accesso agli stessi”.
A fondamento dell’affermata mancanza del “ruolo attivo”, presupposto sul quale si fonda la responsabilità del gestore, il Tar aveva dato rilevanza al fatto che gli annunci sono creati in piena autonomia dall’inserzionista, il quale ne ha determina il contenuto tramite un processo automatizzato; che successivamente l’utente procede al caricamento del messaggio pubblicitario, nonché ad individuare le parole chiave da associare allo stesso e la categorizzazione di interesse (es giocattoli, abbigliamento ecc.); che l’annuncio viene, così, sottoposto all’esame di un software che, con modalità automatiche, verifica la rispondenza ai termini e
condizioni contrattuali, per poi essere pubblicato. Come evidenziato dalla Società inoltre, Google Ireland ha messo a punto un sistema che consente di ‘bloccare’, sempre tramite tecniche automatizzate, i messaggi che rechino un contenuto illecito ma che, nel caso di specie, era stato bypassato in modo fraudolento. Infine, i giudici hanno dato rilevanza anche al fato che Google, non appena venuta a conoscenza della violazione, ha proceduto a bloccare l’account di provenienza del messaggio illecito e a rimuoverlo.
Ad avviso del Tar Lazio quindi, erano presenti tutti gli indici che determinano l’esclusione della responsabilità del gestore dalla piattaforma internet per i contenuti illeciti che sulla stessa siano stati inseriti da terzi.
Il Consiglio di Stato, accogliendo il ricorso contro questa sentenza, ha rilevato che
“come affermato dalla medesima Google, mentre l’ordinario motore di ricerca (Google Web Search) fornito dalla società consente agli utenti di ricercare su internet contenuti pubblicati da terze parti, il servizio Google Ads, tramite il quale è stato pubblicato l’annuncio oggetto di contestazione, è un servizio di posizionamento pubblicitario online che consente agli operatori economici di pubblicare “link sponsorizzati” verso determinati siti (cosiddetti “siti di destinazione”) associati a determinate parole o chiavi di ricerca, che Google deduce essere scelte dall’inserzionista. Al momento in cui l’utente inserisce nel motore di ricerca la parola o le chiavi di ricerca, appariranno all’utente gli annunci corrispondenti sul lato destro o nella parte superiore dei risultati, preceduti dalla parola “annuncio” o da espressioni analoghe, in modo da essere maggiormente visibili rispetto ai risultati “ordinari” restituiti dal motore di ricerca, e ciò anche a non voler considerare l’incidenza dell’attività di profilazione degli utenti nella promozione degli annunci, che AGCOM imputa a Google con un’allegazione che la seconda contesta.
L’attività promozionale svolta da Google è confermata dalla circostanza per cui gli inserzionisti remunerano il servizio in modo proporzionale rispetto alle effettive visualizzazioni che il messaggio pubblicitario riceve.
Ritiene il Collegio che tale servizio pubblicitario non vede Google quale mero hosting provider passivo, dal momento che la società svolge, mediante una gestione imprenditoriale, un servizio di indicizzazione e promozione di contenuti di terze parti non rimanendo, pertanto, “neutrale” rispetto a detti contenuti ma promuovendoli sul mercato e avendo al riguardo un proprio interesse economico alla buona riuscita di tale promozione. Google, nei sensi anzidetti, realizza quindi un “controllo” delle informazioni pubblicate e consente ai suoi clienti di “ottimizzare la loro vendita online”.
Risultano, quindi, integrati i presupposti richiesti dalla giurisprudenza, comunitaria e nazionale, sopra richiamata per poter qualificare un operatore quale hosting provider attivo.
Alla luce di quanto esposto, emerge che l’illecito amministrativo discendente dalla violazione del divieto di cui all’art. 9 del Decreto dignità è disciplinato dalle ordinarie regole in materia di illeciti amministrativi, senza potersi fare applicazione, nel caso di specie, del regime privilegiato di responsabilità riservato agli hosting provider cd. Passivi”.
Il Consiglio di Stato ha però riformulato l’importo della sanzione a 50.000 euro ritenendo “errata la violazione dell’Autorità che ha ritenuto integrate più condotte, una per ciascuna giornata, dal momento che – essendo il medesimo l’annuncio, unico il contesto spazio-temporale in cui la pubblicazione è avvenuta ed unico il fine realizzatosi con detta pubblicazione – deve di ritenersi integrata un’unica violazione del precetto di cui all’art. 9 del Decreto dignità”.