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Pubblicità giochi: TAR accoglie ricorso Google, sanzione AGCOM ridotta a 1,65 mln €

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quarta) ha pronunciato sentenza sul ricorso proposto da Google Ireland Limited per l’annullamento della delibera di AGCOM n. 317/23/CONS del 5.12.2023, ad oggetto “Ordinanza-ingiunzione nei confronti della società Google Ireland Limited per la violazione della disposizione normativa contenuta nell’art. 9, comma 1, del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, convertito con legge 9 agosto 2018, n. 96 (cd. Decreto Dignità). Contestazione N. 5/23/DSDI – PROC. 21/FDG)”.

Si legge nella sentenza:

“1. La società ricorrente con delibera di AGCOM n. 317/23/CONS del 5 dicembre 2023 è stata sanzionata, per euro 2.250.000,00, dall’Autorità resistente in ragione della violazione del divieto di pubblicità del gioco d’azzardo previsto dall’art. 9, comma 1, del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87 convertito con legge 9 agosto 2018, n. 96 (decreto dignità), in ragione della presenza, riscontrata sulla piattaforma per la condivisione di video “YouTube”, di contenuti idonei a promuovere e pubblicizzare attività di gioco e scommesse on line con vincite in denaro.

2. Con il presente ricorso la parte ricorrente ha impugnato l’ordinanza-ingiunzione articolando le seguenti censure:

I. NATURA DIRIMENTE DI HOSTING PROVIDER DI GOOGLE – Violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del D.L. 87/2018 (conv. in Legge 96/2018), dell’art. 14 della Direttiva 2000/31/CE (Direttiva E-Commerce), degli artt. 6, 7 e 8 del Regolamento (UE) 2065/2022 (DSA), degli artt. 16 e 17 del D.Lgs. 70/2003, degli artt. 1 e 3 della Legge 689/1981, degli artt. da 56 a 62 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, degli artt. 11 e 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e degli artt. 21 e 41 Cost. Falsa applicazione della delibera AGCOM n. 132/19/CONS del 18.4.2019 (“Linee Guida”). Violazione del giudicato della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e del primato del diritto dell’Unione Europea. Violazione delle regole sul giusto procedimento e dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e legalità delle sanzioni amministrative, nonché di imparzialità, efficienza e buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost. Difetto di istruttoria e di motivazione. Illogicità e contraddittorietà. Travisamento ed erronea valutazione dei fatti. Carenza dei presupposti di diritto e di fatto. Disparità di trattamento

II. INESISTENZA DI UN OBBLIGO DI SORVEGLIANZA E LIMITAZIONE DELLA LIBERTA’ DI ESPRESSIONE – Violazione e falsa applicazione dell’art. 14 della Direttiva 2000/31/CE (Direttiva E-Commerce), degli artt. 6, 7 e 8 del Regolamento (UE) 2065/2022 (DSA), degli artt. 16 e 17 D.Lgs. 70/2003, dell’art. 9 D.L. 87/2018 (conv. in Legge 96/2018), dell’art. 1 Legge 689/1981, degli artt. da 56 a 62 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, degli artt. 11 e 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e degli artt. 21 e 41 Cost. Carenza dei presupposti di diritto. Violazione del principio del primato del diritto dell’Unione Europea e dei principi di proporzionalità, ragionevolezza, certezza, nonché di imparzialità, efficienza e buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost..

III. CARENZA DEI PRESUPPOSTI PER L’APPLICAZIONE DEL DECRETO DIGNITA’ – Violazione e falsa applicazione dell’art. 9 D.L. 87/2018 (conv. In Legge 96/2018), dell’art. 14 della Direttiva 2000/31/CE (Direttiva E-Commerce), degli artt. 6, 7 e 8 del Regolamento (UE) 2065/2022 (DSA), degli artt. 16 e 17 D.Lgs. 70/2003 e degli artt. 1 e 3 Legge 689/1981. Falsa applicazione delle Linee Guida. Violazione delle regole sul giusto procedimento, dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e legalità delle sanzioni amministrative, nonché di imparzialità, efficienza e buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost. Difetto di istruttoria e di motivazione. Illogicità e contraddittorietà. Travisamento ed erronea valutazione dei fatti. Carenza dei presupposti di diritto e di fatto. Disparità di trattamento.

IV. DIFETTO DI MOTIVAZIONE E NATURA NON PUBBLICITARIA DEI VIDEO CONTESTATI – Violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del D.L. 87/2018 (conv. in Legge 96/2018), dell’art. 14 della Direttiva 2000/31/CE (Direttiva E-Commerce), degli artt. 6, 7 e 8 del Regolamento (UE) 2065/2022 (DSA), degli artt. 16 e 17 del D.Lgs. 70/2003 e degli artt. 1 e 3 della Legge 689/1981. Violazione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e legalità delle sanzioni amministrative, nonché di imparzialità, efficienza e buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost. Difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità e contraddittorietà. Travisamento ed erronea valutazione dei fatti. Carenza dei presupposti di diritto e di fatto. Disparità di trattamento.

V. VIOLAZIONE DELLA DIRETTIVA SERVIZI TECNICI – Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 5 e 6 della Direttiva (UE) 2015/1535 (“Direttiva Servizi Tecnici”), degli artt. 2, 3, 14 e 15 della Direttiva 2000/31/CE (Direttiva E-Commerce), degli artt. 6 e 8 del Regolamento (UE) 2065/2022 (DSA), dell’art. 3 D.Lgs. 70/2003, dell’art. 9 D.L. 87/2018 (conv. in Legge 96/2018), dell’art. 1 Legge 689/1981, degli artt. da 56 a 62 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, degli artt. 11 e 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e degli artt. 21 e 41 Cost. Carenza dei presupposti di diritto. Violazione del principio del primato del diritto dell’Unione Europea e dei principi di proporzionalità, ragionevolezza, certezza, nonché di imparzialità, efficienza e buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost..

VI. CARENZA DI POTERE DI AGCOM – Nullità dell’Ordinanza per difetto assoluto di attribuzione ex art. 21-septies della Legge 241/1990. Carenza di potere in concreto. Violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del Decreto Dignità, degli artt. 41, 42 e 43 D.Lgs. 208/2021 (TUSMA) e dell’art. 5 D.Lgs. 70/2003. Violazione dell’art. 3 della Direttiva sul Commercio Elettronico 2000/31/CE (Direttiva E-Commerce) e degli artt. 28-bis e ss. della Direttiva (UE) sui servizi media-audiovisivi 2018/1808 (Direttiva AVMS). Violazione del Principio del Paese d’Origine.

VII. ERRONEITA’ DEL CALCOLO DEL QUANTUM DELLA SANZIONE – Violazione e falsa applicazione dell’art. 9 D.L. 87/2018, dell’art. 14 della Direttiva 2000/31/CE (Direttiva ECommerce), degli artt. 6, 7 e 8 del Regolamento (UE) 2065/2022 (DSA), degli artt. 16 e 17 D.Lgs. 70/2003, degli artt. 1, 8 e 11 Legge 689/1981 e dell’art. 25 Cost. Violazione e falsa applicazione degli artt. da 56 a 62 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, degli artt. 11 e 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e degli artt. 21 e 41 Cost. Violazione dell’Allegato A della Delibera agcom 265/15/CONS s.m.i. (“Regolamento AGCOM sulle Sanzioni”). Violazione dei principi del giusto procedimento, proporzionalità e legalità delle sanzioni amministrative, nonché di imparzialità, efficienza e buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost. Difetto di istruttoria e di motivazione. Illogicità e irragionevolezza. Travisamento ed erronea valutazione dei fatti. Carenza dei presupposti di diritto.

3. Si è costituita l’Autorità intimata per resistere all’accoglimento del ricorso.

4. All’udienza del 29 maggio 2024 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

5. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la mancata applicazione da parte dell’Autorità del regime di esenzione di responsabilità stabilito, per gli hosting provider passivi rispetto ai contenuti ospitati sui propri siti, dal “l’art. 16 del D.Lgs. 70/2003 (che recepisce l’art. 14 della Direttiva E-Commerce) e [dal]l’art. 6 del Regolamento 2065/2022 (“DSA”)”.

Premesso che quest’ultima fonte normativa (il Regolamento UE 2022/2065 – c.d. D.S.A. – che modifica la direttiva 2000/31/CE, entrato in vigore il 17 febbraio 2024) non è ratione temporis applicabile al caso di specie, ai fini dello scrutinio della censura risulta decisivo richiamare i principi espressi, con riferimento alle questioni in esame, dal Consiglio di Stato con la sentenza del 13 maggio 2024, n. 4277.

Il giudice d’appello ha affermato che il regime “privilegiato” di responsabilità riservato agli hosting provider dall’art. 14 Direttiva 2000/31/CE e dall’art. 16 del D.lgs. n. 70/2003 non è applicabile alla responsabilità amministrativa di cui all’art. 9 del decreto dignità in quanto l’art. 1, comma 5, la Direttiva 2000/31/CE esclude testualmente dal proprio ambito di applicazione “i giochi d’azzardo che implicano una posta pecuniaria in giochi di fortuna, comprese le lotterie e le scommesse” e in quanto, analogamente, l’art. 1, comma 2, lett. g, del D.lgs. n. 70/2003, esclude dal proprio campo di applicazione “i giochi d’azzardo, ove ammessi, che implicano una posta pecuniaria, i giochi di fortuna, compresi il lotto, le lotterie, le scommesse i concorsi pronostici e gli altri giochi come definiti dalla normativa vigente, nonché quelli nei quali l’elemento aleatorio è prevalente”.

Il Consiglio di Stato ha precisato, inoltre, che:

– l’esclusione del gioco d’azzardo dall’ambito di applicabilità della disciplina sul commercio elettronico “non riguarda solamente l’attività che ha ad oggetto lo svolgimento on line del gioco d’azzardo a pagamento, come sostenuto da Google, ma anche l’attività diretta alla pubblicizzazione dei giochi medesimi. Difatti, l’ambito di applicazione della Direttiva cit. ordinariamente riguarda “l’informazione in linea, la pubblicità in linea, la vendita in linea, i contratti in linea” (cfr. ventunesimo considerando) e, pertanto, avendo il legislatore escluso tout court i giochi d’azzardo dal perimetro di applicazione della Direttiva, deve ritenersi che abbia inteso lasciare fuori dal campo di regolamentazione tutte le attività riguardanti tale settore, ivi inclusa la loro pubblicizzazione on line”;

– il regime speciale di responsabilità riservato agli hosting provider non è applicabile neppure in via indiretta, tramite ricorso all’analogia iuris “mancando in proposito una lacuna nell’ordinamento: la disciplina di cui all’art. 16 cit. rappresenta una deroga rispetto alle regole generali in materia di responsabilità (nel caso di specie di natura) amministrativa e, pertanto, avendo il legislatore escluso l’applicabilità di tale deroga alla fattispecie de qua, si applicano tali regole generali”;

– non può neppure sostenersi che il suddetto regime di responsabilità operi in quanto richiamato dalle Linee Guida predisposte dall’Autorità per l’applicazione dell’art. 9 del decreto dignità (Allegato A alla delibera n. 132/19/CONS del 18 aprile 2019), atteso che “le Linee guida cit. de[vono] essere interpretate conformemente alla disciplina introdotta dalla fonte di rango primario, non potendo intervenire sul perimetro soggettivo di applicazione di tale disciplina”.

Escluso che possa operare il regime “speciale” di responsabilità di cui alla disciplina sul commercio elettronico, non possono che trovare applicazione “le ordinarie regole in materia di sanzioni amministrative”, con la conseguenza che non è l’Amministrazione a dover dimostrare la conoscenza effettiva da parte dell’operatore dell’attività illecita posta in essere dagli utenti (come ritenuto dalla precedente giurisprudenza di primo grado facendo applicazione dei principi desumibili dalla disciplina sul commercio elettronico), ma è sull’autore del fatto vietato che grava – in virtù della presunzione di colpa posta dall’art. 3 della l. n. 689/1981 – l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza per non aver potuto conoscere – malgrado l’uso dell’ordinaria diligenza – il contenuto illecito pubblicato sulla piattaforma (con conseguente impossibilità di attivarsi per rimuovere il contenuto medesimo).

Da quanto esposto discende l’infondatezza del primo motivo di ricorso.

6. Con il secondo argomento di doglianza la ricorrente sostiene che “l’ordine di rimuovere “i video caricati successivamente alla notifica della presente delibera dai 15 content creator sopra identificati i cui contenuti siano analoghi o equivalenti a quelli oggetto del presente procedimento”” integrerebbe l’imposizione in capo alla ricorrente di un controllo generalizzato sui contenuti in violazione dell’art. 17 del D.lgs. 70/2023 (rubricato “Assenza dell’obbligo generale di sorveglianza”).

La censura è priva di pregio.

In disparte l’inapplicabilità alla vicenda in esame, per le ragioni sopra esposte, della norma da ultimo richiamata, va, infatti, osservato che l’ordine contenuto nel provvedimento impugnato, lungi dall’avere ad oggetto “la moltitudine di contenuti” pubblicati dalla generalità degli utenti, risulta espressamente limitato ai soli “video contenuti nei canali 15 canali verificati e partner commerciali di Google sopra identificati”.

Dunque, diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente, nella delibera impugnata non è prefigurato alcun obbligo di sorveglianza imposto in via generalizzata.

7. Con il terzo ordine di censure la ricorrente lamenta, sotto un primo profilo, che Google esulerebbe dal campo di applicazione del decreto dignità sul versante soggettivo in quanto non rientrerebbe nella nozione di “proprietario del mezzo di diffusione o destinazione” fornita dalle sopra menzionate Linee Guida di cui alla delibera AGCOM n. 132/19/CONS del 18 aprile 2019.

La doglianza è priva di fondamento dovendo ribadirsi che “le Linee guida cit. de[vono] essere interpretate conformemente alla disciplina introdotta dalla fonte di rango primario, non potendo intervenire sul perimetro soggettivo di applicazione di tale disciplina”, non essendo ammissibile che un atto adottato dall’Autorità resistente possa circoscrivere il novero dei soggetti sanzionabili come delineato dalla norma di legge in questione.

8. Sotto un secondo profilo, la ricorrente si duole del fatto che “mancano inoltre due ulteriori presupposti per l’applicazione del Decreto Dignità: non esiste un accordo con l’inserzionista né il pagamento di un corrispettivo tra le parti coinvolte per l’attività di pubblicità contestata come illegale”: “non esiste un contratto pubblicitario né un corrispettivo per la “pubblicità” occulta”.

La censura è priva di pregio.

Premesso che l’esistenza di un contratto pubblicitario e di un corrispettivo non costituiscono elementi costitutivi della fattispecie sanzionatoria in discussione (posto che la norma richiama il “valore della sponsorizzazione o della pubblicità” solo quale parametro per commisurare l’entità della sanzione), va osservato che:

– tutti i casi oggetto della delibera impugnata sono caratterizzati dal fatto che tra la ricorrente ed il singolo utente (o “creator”) intercorre un contratto a titolo oneroso – con il quale il creator assume “la veste di “Partner verificato”, aderente al programma YPP (YouTube Partner Program)” – che consente a quest’ultimo di lucrare dalla pubblicazione dei video sul proprio canale (in particolare, l’adesione al suddetto programma “offre ai creator la possibilità di attingere a molteplici flussi di entrate, quali: a) entrate pubblicitarie, intese come la possibilità, per il creator, di partecipare alla condivisione delle entrate provenienti dagli annunci che gli inserzionisti pubblicano sui video”);

– è pacifico che la società ricorrente incassa un corrispettivo dalle pubblicità che inserzionisti terzi associano ai video illeciti; né rileva che tale profitto non sia ricavato direttamente dai contenuti illeciti pubblicati dal creator ma provenga dagli annunci pubblicati da terzi inserzionisti in quanto, come condivisibilmente affermato nella avversata delibera, “sono i video [illeciti] caricati dagli utenti che consentono alla piattaforma di veicolare la pubblicità degli inserzionisti verso coloro che visualizzano quei contenuti” e di incassare i relativi guadagni.

9. Sotto un terzo profilo di censura, la ricorrente sostiene di aver “dato prova della propria buona fede e di un comportamento responsabile, facendo tutto quanto in suo potere per evitare la diffusione di messaggi pubblicitari sui giochi d’azzardo” (“Pur non essendone obbligata, Google ha volontariamente adottato tutte le azioni necessarie per cercare di impedire la diffusione di messaggi pubblicitari sui giochi d’azzardo”).

Invero, nella vicenda in esame, l’impegno diligente che la ricorrente dichiara di aver profuso si è esaurito nella mera previsione del divieto di cui si discute nel “le Norme sulla vendita di prodotti e servizi regolamentati o illegali”, nel “le Norme Pubblicitarie di Google e [nel]le Norme della Community”.

La ricorrente si è, tuttavia, astenuta dal dotarsi di qualsivoglia sistema di rilevazione al fine identificare i contenuti illeciti eventualmente pubblicati dagli utenti aderenti al “Programma Partner di YouTube”: come affermato dalla stessa ricorrente, infatti, né in sede di domanda di adesione al “Programma Partner di YouTube”, né dopo che il creator abbia ottenuto lo status di “PPY” viene effettuata “alcuna verifica legale sulla conformità con le leggi locali” (eccettuata l’unica ipotesi che sia intervenuta una “segnalazione rispetto ad uno specifico contenuto”), neppure nei casi, come quelli in esame, in cui la stessa denominazione del canale (“Gratta e Vinci DeboraQueen Italia slot da barGrattolini della Maga CiricialaGratta e Vinci GameGratta il GrattinoGratta e Vinci LucaExeSlotGratta e vinci Sacchetto o Scherzetto?Mike & team SlotMiKE SLOT IT SHOWGratta e VinciLucky Il Milionario”) lasci chiaramente emergere come la “tematicità del canale” sia incentrata su argomenti relativi a giochi con vincite in denaro.

Pertanto, alla ricorrente – che all’atto di adesione dell’utente al programma “Partner di YouTube” comunque attua, ad altri fini, una forma di controllo (denominata “processo di revisione”) – può essere rimproverato di non avere adottato, in occasione della suddetta adesione, alcun sistema di rilevazione e monitoraggio (quantomeno) in presenza di canali aventi un tema che evoca inequivocabilmente il gioco d’azzardo, come tali potenzialmente “a rischio” di veicolare contenuti idonei a promuovere e pubblicizzare attività di gioco e scommesse con vincite in denaro.

10. Alla luce di quanto appena esposto è, invece, fondato il profilo di censura con il quale la ricorrente lamenta che non tutti “i Canali Contestati [hanno] come tematicità il “gioco d’azzardo”. Basti considerare, a titolo di esempio, i canali “Mihaela Muscalu” e “Mondo Snack”: dal loro titolo non si può certo evincere che tali canali siano incentrati sul gioco di azzardo”.

In particolare, si tratta di 4 dei canali oggetto di contestazione (“Mihaela Muscalu”, “Mondo Snack”, “TOP21Z” e “G&V di MARCO”), dalla cui denominazione (e dal cui URL) non emerge alcun riferimento al tema del gioco d’azzardo, con la conseguenza che l’illiceità dei contenuti in essi pubblicati non poteva ritenersi conoscibile da parte della ricorrente con l’uso dell’ordinaria diligenza.

La parziale fondatezza della censura in esame comporta, vertendosi in ipotesi di giurisdizione estesa al merito (art. 134 c. 1 lett. c, c.p.a.), la necessità di rideterminare l’importo della sanzione comminata decurtando da esso la parte irrogata in rapporto ai suddetti 4 canali.

Ne deriva che l’importo della sanzione irrogata va rideterminato in misura pari a euro 1.650.000,00, ottenuto tramite riparametrazione della somma in funzione del numero dei canali (11 anziché 15) in relazione ai quali era esigibile, per le ragioni prima esposte, che la ricorrente si avvedesse della presenza dei contenuti illeciti ivi pubblicati.

11. Per completezza va aggiunto che non può ritenersi che la ricorrente abbia dimostrato una condizione di ignoranza incolpevole dei contenuti illeciti pubblicati, non superabile con l’uso dell’ordinaria diligenza, per il fatto che “nella fattispecie, i Creators dei Video Contestati non hanno mai selezionato la casella della promozione a pagamento nei dettagli relativi ai Video Contestati”, con conseguente impossibilità “per Google [di] venire a conoscenza della presenza di contenuti promozionali su YouTube e controllare a priori se il contenuto promosso violi o meno le policy di YouTube”.

Infatti:

– la ricorrente si è limitata ad affermare tale circostanza senza fornire alcun elemento, neppure sul piano meramente indiziario, che consenta di comprovarlo;

– la ricorrente, comunque, non ha descritto le caratteristiche del controllo che sarebbe stato effettuato laddove l’utente avesse selezionato la casella di “promozione a pagamento”, né ha dedotto che, in detta ipotesi, l’effettuazione di tale controllo avrebbe permesso di impedire o bloccare la pubblicazione dei contenuti illeciti.

12. Con il quarto motivo di ricorso, la ricorrente contesta che “le contestazioni di AGCOM non sono neanche idonee a dimostrare la natura pubblicitaria di tali video … non avendo spiegato affatto perché ognuno dei Video Contestati sarebbe illecito”.

La censura è destituita di fondamento.

In disparte il fatto che la stessa ricorrente ammette che alcuni video contestati contengono “informazioni sulle tariffe e sui bonus offerti dagli operatori autorizzati di giochi di casinò online” (pag. 26 del ricorso), va considerato che l’Autorità, nell’atto di contestazione, ha evidenziato (senza essere sul punto smentita dalla parte ricorrente) che:

– i video individuati pubblicizzano il gioco d’azzardo mediante la riproduzione di sessioni di gioco registrate o in diretta (di slot machine o video lottery terminal) ovvero attraverso la rappresentazione di consumi di giochi con premi in denaro;

– in alcuni casi vengono illustrate le modalità per accedere ai siti di gioco con vincite in denaro, i bonus e i sistemi di pagamento che si possono usare per depositare e ritirare le vincite, anche sotto forma di recensioni;

– vengono utilizzate espressioni enfatizzanti il gioco medesimo, e le vincite in denaro, sia tramite audio, sia in forma grafica (anche laddove non sia presente l’audio) nei titoli dei video o in sovrimpressione (mediante l’uso di emoticon, immagini, segni);

– tutti i video invitano alla pratica del gioco d’azzardo o comunque incentivano all’acquisto e al consumo di giochi o scommesse con vincite in denaro, così realizzando un’attività promozionale del gioco medesimo nei confronti pubblico;

– in molteplici casi il soggetto del video, oltre a descrivere le caratteristiche tecniche e il funzionamento delle singole piattaforme di gioco, presenta le proprie sessioni di gioco nel corso delle quali induce il pubblico a ritenere che vincere denaro al gioco sia possibile e frequente, attraverso l’utilizzo di un linguaggio spesso esuberante ed enfatico e di un format generale di confezionamento del messaggio che ne evidenzia la natura promozionale e di incentivo al gioco;

– alcuni soggetti, nel corso delle sessioni di gioco, enfatizzano le giocate e sottolineano la remuneratività e la convenienza di tale attività, facendo intendere finanche la possibilità di “cambiare vita” grazie anche alle possibili vincite in denaro realizzabili;

– la pratica del gioco con vincita in denaro viene pubblicizzata anche attraverso il riferimento a bonus riscattabili e, in taluni casi, nelle note a commento del video vengono inseriti link diretti a siti web che consentono di ottenere i relativi codici promozionali”.

L’Autorità ha, quindi, dato conto con adeguata motivazione delle ragioni per le quali i contenuti diffusi siano connotati da una valenza indirettamente (ossia, non dichiaratamente) promozionale e, pertanto, rientrino nel perimetro del divieto posto dall’art. 9 del decreto dignità, che vieta la diffusione di “qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro nonché al gioco d’azzardo, comunque effettuata”.

13. Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente sostiene che il decreto dignità andrebbe disapplicato per mancata notifica dello stesso alla Commissione Europea ai sensi degli artt. 1, 5 e 6 della Direttiva Servizi Tecnici (Direttiva UE 2015/1535).

Al fine di evidenziare l’infondatezza della censura vanno richiamate le considerazioni svolte nella precedente sentenza di questo Tribunale, sez. III, del 28 ottobre 2021, n. 11036:

Il divieto stabilito dall’art. 9 del “Decreto Dignità” non può infatti essere ricondotto ad una “regola o specifica tecnica” nei termini di cui all’art. 1, comma 1, lett. f), della direttiva 2015/1535/UE, in quanto lo stesso non attiene ad un servizio della società dell’informazione come tale (ossia specificamente considerato), bensì alla pubblicità del gioco d’azzardo con qualsiasi mezzo effettuata, cioè non necessariamente tramite servizi web.

Recente e condivisibile giurisprudenza del Consiglio di Stato ha infatti, sul punto, affermato che:

– per “regola tecnica” si intende “una specificazione tecnica o altro requisito o una regola relativa ai servizi, comprese le disposizioni amministrative che ad esse si applicano, la cui osservanza è obbligatoria, de jure o de facto, per la commercializzazione, la prestazione di servizi, lo stabilimento di un fornitore di servizi o l’utilizzo degli stessi in uno Stato membro o in una parte importante di esso …”.

– “l’espressione “regola relativa ai servizi” deve essere intesa, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. e) della direttiva in commento, come “un requisito di natura generale relativo all’accesso alle attività di servizio di cui alla lettera b) [ossia “qualsiasi servizio della società dell’informazione”] e al loro esercizio, in particolare le disposizioni relative al prestatore di servizi, ai servizi e al destinatario di servizi, ad esclusione delle regole che non riguardino specificamente i servizi ivi definiti”;

– “Ai fini di tale definizione, inoltre, la direttiva specifica che:

– da un lato, “una regola si considera riguardante specificamente i servizi della società dell’informazione quando, alla luce della sua motivazione e del testo del relativo dispositivo, essa si pone come finalità e obiettivo specifici, nel suo insieme o in alcune disposizioni puntuali, di disciplinare in modo esplicito e mirato tali servizi”;

– dall’altro, “una regola non si considera riguardante specificamente i servizi della società dell’informazione se essa riguarda tali servizi solo in modo implicito o incidentale”. (Consiglio di Stato sez. VI, ord. 26 gennaio 2021 n. 777).

Con riferimento al caso di specie, va rilevato che il divieto di pubblicità del gioco d’azzardo ha portata generale, essendo tale attività perseguita indipendentemente dal mezzo con il quale viene posta in essere, dunque non solo se ciò avvenga tramite un servizio della società dell’informazione, così che lo stesso non può essere inteso alla stregua di una “regola tecnica” nei termini indicati, non essendo peraltro la definizione in argomento, come affermato dal citato precedente (che sul punto richiama le conclusioni dell’Avvocato Generale nella causa C-320/16, punto 31; e la sentenza C-255/16, punto 30) “strutturalmente suscettibile di interpretazione estensiva oltre i confini della materia””.

14. Con il sesto motivo di censura la ricorrente lamenta che “il TUSMA … ha implicitamente abrogato l’art. 9 del Decreto Dignità. In particolare, l’art. 43, co.1, lett. (h) del TUSMA, interviene sul medesimo oggetto del Decreto Dignità, e lo fa quale lex specialis – ossia, negli specifici confronti di fornitori di piattaforme per la condivisione di video generati dagli utenti come Google, vietando “comunicazioni commerciali audiovisive relative al gioco d’azzardo”, e precisando che tale divieto si applica unicamente ai “fornitori di servizi di media soggetti alla giurisdizione italiana”, con la conseguenza che la portata della disposizione “non può riguardare Google, società stabilità in Irlanda”.

Soggiunge che “gli artt. 41, 42, e 43 del TUSMA, in ogni caso, concernono espressamente i fornitori di piattaforme per la condivisione di video e rappresentano dunque le uniche previsioni applicabili a Google in base al criterio della lex specialis”.

La censura non è persuasiva ove si consideri che gli “gli artt. 41, 42, e 43 del TUSMA” (D.lgs. 208/2021) non disciplinano sotto alcun profilo le ricadute sanzionatorie discendenti dalla violazione del divieto di pubblicità del gioco d’azzardo, con la conseguenza che tali disposizioni non hanno inciso sull’operatività del potere attribuito all’Autorità dall’art. 9 del decreto dignità (come peraltro espressamente previsto dall’art. 44, comma 5, del TUSMA con riferimento alla pubblicità televisiva: “Resta fermo quanto disposto dall’art. 9 del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2018, n. 96”).

In altre parole, poiché la disciplina richiamata dalla ricorrente, contenuta nel TUSMA, non si occupa affatto del tema relativo alle sanzioni irrogabili per la violazione del divieto in questione, non si è in presenza di due norme che disciplinano una medesima fattispecie (né è ravvisabile un conflitto tra di esse); conseguentemente, non è ipotizzabile alcun effetto abrogante, né tale disciplina può qualificarsi speciale rispetto a quella contenuta nell’art. 9 del decreto dignità, come sostenuto dalla ricorrente.

15. Con l’ultimo motivo di ricorso la ricorrente contesta il quantum della sanzione irrogata in quanto l’Autorità avrebbe dovuto considerare “i 15 Canali Contestati come un’unica condotta” e conseguentemente fare applicazione del criterio del cumulo giuridico degli illeciti.

Il motivo è privo di pregio.

Invero, deve escludersi che possano considerarsi unitarie per l’unicità del fine o dell’effetto le condotte, del tutto indipendenti l’una dall’altra, poste in essere da utenti diversi tramite canali “YouTube” distinti (né alcun elemento di collegamento è stato prospettato dalla parte ricorrente).

Pertanto, non sussistono i presupposti per l’applicazione dell’istituto del cumulo giuridico invocato dalla parte.

16. In conclusione, per le ragioni rappresentate, il ricorso va accolto parzialmente, con conseguente annullamento del provvedimento gravato nella parte in cui quantifica la sanzione irrogata, che va rideterminata nella misura di euro 1.650.000,00.

17. La particolarità delle questioni giuridiche implicate e le novità giurisprudenziali intervenute durante la pendenza della controversia giustificano la compensazione delle spese di lite”.

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