La Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria del 24 luglio 2024, rimette alla Corte Costituzionale questione di legittimità sulla norma che prevede una sanzione per la violazione prevista dalla legge Balduzzi in materia di contrasto al gioco d’azzardo.
Il giudizio prende le mosse dalla ingiunzione di pagamento della sanzione di 20.000 euro per violazione dell’art. 7, comma 3-quater, D.L. 13 settembre 2012, n. 158 (convertito con modificazioni nella legge 8 novembre 2012, n. 189), contestata ad un esercente leccese che aveva installato un apparecchio collegato ad internet dal quale si accedeva a una piattaforma di giochi.
In fase di controlli all’interno di un pubblico esercizio era stato rinvenuto un apparecchio collegato ad internet, e che ai fini della violazione della disposizione citata, consentiva di accedere a una piattaforma di gioco. La sanzione era stata confermata in Corte d’Appello in considerazione del fatto che “non era necessario utilizzare apparecchiature aventi la caratteristica dei «totem» e che, infine, le norme a prevenzione della ludopatia non interferivano con i principi comunitari in materia di libera circolazione delle merci”.
Interpellate da Jamma gli Avv.ti Francesca Dionisi e Sabina Monaco, che hanno rappresentato in Cassazione l’esercente, esprimono grande soddisfazione per questo risultato che, dopo una battaglia decennale, apre il dibattito del bilanciamento tra tutela della Libertà di impresa e salute pubblica, rimettendo la questione dinanzi il Giudice delle Leggi.
“Ci si augura che questa ordinanza possa servire da spunto per la corretta individuazione delle modalità di svolgimento dei servizi offerti dai PVR, così come rivisti dal decreto legislativo n. 41/24”, commentano.
I punti dell’ordinanza
Nell’ordinanza si legge:
“Esclusa, dunque, la possibilità di pervenire, tramite una interpretazione costituzionalmente orientata, al risultato ermeneutico di definire la condotta sanzionabile che non sia, secondo l’inequivocabile tenore letterale, la mera messa a disposizione della clientela delle apparecchiature di qualsiasi genere idonee al collegamento on-line anche a siti di gioco, pure nel caso di soggetto titolare di autorizzazione alla promozione del gioco con vincita di denaro, disposizione che suscita un dubbio di legittimità costituzionale, con riferimento al principio di ragionevolezza emergente dall’art. 3 Cost., con gli artt. 25, 41, 42 e 117, primo comma Cost., in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, nella parte in cui esso non prevede, appunto, che la sanzione sia bilanciata con gli altri diritti in gioco, come il diritto di impresa ed il diritto alla privacy, sotto il profilo dell’effettiva sussistenza di un rapporto di connessione razionale e di proporzionalità tra il mezzo predisposto dal legislatore e il fine che lo stesso ha inteso perseguire, avuto riguardo alle rilevanti conseguenze sul piano della tutela dei diritti coinvolti (per i principi di equivalenza, comparazione ed effettività). La disposizione in esame, infatti, discrimina gli esercenti di Internet point dai gestori di pubblici esercizi in genere, come ristoranti e bar, che possono mettere a disposizione dei clienti non solo il wi-fi, ma anche dispositivi per navigare sul web con richiesta di utilizzo di connettività Internet, e i criteri individuati dal legislatore al riguardo risultano meramente formali”.
“La seconda disposizione della cui legittimità si dubita è dell’art. 1, comma 923 della legge n. 208/2015. La sanzione, infatti, non appare in alcun modo modulabile in relazione all’entità della violazione, da desumersi, ad esempio, dal numero delle apparecchiature messe a disposizione, dall’effettivo collegamento riscontratosi, ovvero dalla gradazione dell’elemento soggettivo dell’esercente in relazione al suo obbligo di vigilanza”.
Devono, pertanto, rimettersi alla Corte costituzionale le questioni di legittimità costituzionale, che si rilevano d’ufficio, dell’art. 7, comma 3-quater, d.l. n. 158/2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 168/2012, e dell’art. 1, comma 923 della legge 208/2015, secondo cui “in caso di violazione dell’articolo 7, comma 3-quater, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, il titolare dell’esercizio è punito con la sanzione amministrativa di euro 20.000; la stessa sanzione si applica al proprietario dell’apparecchio”, per le quali la Corte ritiene siano rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost., in combinato disposto con gli artt. 25, 41, 42 e 117, primo comma Cost. in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, e agli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007. Il giudizio è sospeso per legge (art. 23, comma 2 legge n. 87 del 1953)”.
La Camera di Consiglio è stata fissata per il prossimo 9 gennaio.