“Grazie ai progressi della medicina e della prevenzione, nonché a condizioni di vita più sane e sicure, tutti i Paesi OCSE sono oggi caratterizzati da maggiore longevità. È un fenomeno certamente positivo che, se ben governato, genera un incremento delle opportunità individuali e collettive. L’aumento della popolazione anziana è però anche un fenomeno “relativo”, in quanto si accompagna a una diminuzione di quella più giovane, dovuto al calo prolungato e costante della natalità nel corso del tempo. Questa seconda tendenza ha dato il via a una vera e propria “transizione demografica”: le nascite non controbilanciano i decessi, la popolazione totale si contrae”.
E’ quanto si legge nell’introduzione del report dal titolo “Famiglia, Asili, Servizi e Tempi. L’agenda FAST per contrastare la detanalità in Italia“, condotto da Percorsi di secondo welfare per Fondazione Lottomatica. Il rapporto, che mira ad affrontare il tema della natalità in Italia attraverso alcuni aspetti chiave che vanno dagli asili nido all’attenzione alla famiglia, dal miglioramento dei servizi a una diversa gestione del tempo, è stato curato da Maurizio Ferrera, professore ordinario di Scienza politica presso l’Università degli Studi di Milano, Franca Maino, professoressa associata presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano e Celestina Valeria De Tommaso, dottoranda in Studi Politici presso il NASP Graduate School dell’Università degli Studi di Milano.
“Qualcuno potrebbe chiedersi: ma che male c’è se la popolazione diminuisce? Non siamo già troppi? Due domande ragionevoli, ma solo in apparenza. Facciamo un esperimento mentale e immaginiamo un’Italia che passi da 60 a 40 milioni di abitanti. Raggiunti i 40 milioni, la struttura per età della popolazione assomiglierebbe a una specie di petalo: uno stelo sempre più sottile di bambini, che si amplia in un ovale fra i 45 e i 65 anni e poi si restringe fino a una punta di ultracentenari. Meno giovani e meno adulti sotto i 45 anni significa però meno PIL. Non è uno scenario sostenibile. Se non vogliamo scendere sotto i 40 milioni ed estinguerci progressivamente – si legge ancora nell’introduzione -, a un certo punto il tasso di fertilità dovrà risalire verso il fatidico 2,1% di figli per donna. Per evitare la catastrofe demografico-economica non c’è dunque alternativa: le famiglie italiane devono essere messe nelle condizioni di procreare di più. E ciò deve avvenire presto. Ciò che rende la transizione demografica un fenomeno particolarmente problematico è che, quando le nuove nascite non controbilanciano i decessi, la composizione interna della popolazione subisce una marcata distorsione, aumentano i cosiddetti tassi di dipendenza (il numero di persone non attive rispetto a quelle attive) e si creano problemi crescenti di sostenibilità finanziaria per il welfare state. Da ormai vari anni in Giappone si vendono più pannoloni che pannolini. Si tratta del Paese più “vecchio” del mondo: gli anziani con più di 65 anni sono il 27% della popolazione e aumentano ogni anno. In futuro chi pagherà per i pannoloni? Se nascono sempre meno bambini, il rapporto fra lavoratori e pensionati è destinato a peggiorare, con effetti negativi sui redditi delle famiglie e soprattutto sul welfare.
Secondo i demografi, i Paesi OCSE sono entrati in quello che viene chiamato “inverno demografico”, ossia la fase in cui il rallentamento dei tassi di fertilità che ha innescato la transizione sembra aver raggiunto il proprio plateau negativo e l’ondata di “degiovanimento” fa chiaramente sentire i propri effetti anche nelle fasce di età attive. In questo generale contesto – evidenziano gli autori -, l’Italia si trova in condizioni di particolare criticità, molto vicina al Giappone. Da noi il degiovanimento è particolarmente intenso in termini numerici (sempre meno giovani) e si accompagna alla debole presenza dei giovani nella società e alla loro bassa partecipazione al mercato del lavoro. Il tasso di dipendenza degli anziani dagli occupati ha raggiunto il valore di 0,4. Grosso modo, ciascun occupato finanzia con il proprio reddito l’insieme dei trasferimenti e dei servizi di 0,4 anziani: si sobbarca, cioè, il 40% circa delle spese. Ci sono altri elementi da considerare (ad esempio i trasferimenti intergenerazionali, le imposte comunque versate dagli ultrasessantacinquenni e così via). Tuttavia, 40% è un valore elevato sul piano comparativo, quasi doppio rispetto ai soliti inarrivabili Stati nordici. E il tasso di dipendenza italiano potrebbe raggiungere il 100% già nel 2050: un occupato, un pensionato. Il degiovanimento produce peraltro anche una significativa contrazione di donne in età fertile, quelle su cui contare per il ricambio generazionale. L’indicazione è allarmante perché significa che, a parità di condizioni, nasceranno in futuro ancora meno bambini: vi saranno infatti sempre meno madri potenziali. Per usare il linguaggio dei demografi: la transizione italiana è entrata in una fase di «avvitamento», come una spirale. Si stanno infatti erodendo le basi demografiche per il funzionamento dell’economia (calo della popolazione in età da lavoro) e per la riproduzione biologica e sociale (calo delle donne in età fertile). Più che di inverno demografico, per l’Italia sembra appropriato parlare di vera e propria era glaciale”, concludono gli autori.
“Le giovani coppie vorrebbero due figli, alcune anche tre o più. Il tasso di fertilità delle donne italiane è invece sceso all’1,18. La ‘glaciazione demografica’ che ha colpito il nosto Paese rispecchia un serio divario tra desideri e realtà – spiega Maurizio Ferrera in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera -. (…) Nel 2013, durante l’evento ‘Il Tempo delle Donne’ organizzato dal Corriere, chi scrive propose un’agenda di riforme intitolata Fast. In inglese, il termine vuol dire ‘veloce’: già allora non c’era più tempo da sprecare. Letta come una sigla, la parola Fast indicava anche i principali ambiti su cui intervenire: Famiglie, Asili, Servizi, Tempi. In quell’anno il tasso di fertilità era pari all’1,4. Se in dieci anni ha continuato a scendere, vuol dire che di ‘scelte coraggiose ne sono state fatte ben poche e si è perso altro tempo. (…) La lentezza delle riforme e l’ancora bassa consapevolezza delle sfide suggerisce oggi di integrare l’agenda Fast con un ulteriore ingrediente, che riguarda la governance. L’Olanda ha istituito nel 2022 un Comitato permanente sul mutamento demografico, che è stato indicato come benchmark dalla Ue. La Fondazione per la Natalità ha proposto la creazione di una Agenzia, sulla falsariga di quella giapponese. L’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sulle tendenze demografiche nazionali e sui loro effetti economici e sociali (già all’esame del Senato) potrebbe essere il primo passo in questa direzione. L’importante è fare presto”.