Un tabaccaio di Lecce ha chiamato in giudizio due clienti ritenendo di essere creditore dei convenuti per aver loro concesso di giocare a debito il gioco del lotto presso la propria ricevitoria e di non aver ottenuto la restituzione di parte delle somme prestate per l’importo complessivo di € 20.800,00.
I convenuti si costituirono in giudizio contestando di non aver mai giocato al lotto e quindi di aver effettuato solo piccole giocate con somme esigue (2-3 euro); affermarono altresì che la domanda dell’attore era generica e lacunosa; che, in ogni caso, la fattispecie era riconducibile alla vendita di beni da parte di un commerciante a chi non ne fa commercio sicché il diritto ad ottenere il prezzo della vendita si era prescritto ai sensi dell’art. 2955 n. 5 c.p.c.; il Tribunale di Lecce ritenne che tra le parti fosse intercorso un contratto di mutuo e che l’attore avesse assolto all’onere della prova posto a suo carico ai sensi dell’art. 2697 c.c. avendo provato non solo che i convenuti, da lui da tempo conosciuti, fossero assidui giocatori presso la propria ricevitoria ma anche che gli stessi fossero divenuti accaniti giocatori facendo giocate di € 2.500 su un numero ritardatario fino al punto di chiedere al tabaccaio di poter continuare a giocare a credito con conseguente versamento, da parte dell’attore mutuante, delle relative somme anticipate nelle casse dei Monopoli di Stato;a seguito di appello dei soccombenti la Corte d’Appello di Lecce, aveva rigettato integralmente l’appello sussumendo la fattispecie nel contratto di mutuo e ritenendo, pertanto, inapplicabile la prescrizione presuntiva di cui all’art. 2955 n. 5 c.c; ha altresì confermato la sentenza di primo grado in punto di assolvimento dell’onere della prova del diritto di credito;
Successivamente i due clienti hanno presentato appello in Cassazione. Con il primo motivo – violazione degli artt. 1813 e 2955 n. 5 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1 n.3 c.p.c. – i ricorrenti lamentavano che la Corte del merito ha erroneamente inquadrato la fattispecie nel contratto di mutuo, anziché nella fattispecie tipica di un’operazione commerciale tra imprenditore e consumatore o di vendita al minuto di beni, e cioè del tagliando del lotto, così omettendo di rilevare l’intervenuta prescrizione del diritto al pagamento del prezzo;
con il secondo motivo – violazione degli artt. 1813 e 2697 c.c. In relazione all’art. 360, co. 1 n. 3 c.p.c.- i ricorrenti impugnano il capo di sentenza che ha ritenuto raggiunta la prova in ordine all’esistenza dei presupposti di un contratto verbale di mutuo sulla base di mere prove testimoniali, quando, invece, l’attore non avrebbe dato rigorosa prova degli accordi intercorsi, dell’entità delle somme mutuate, delle somme effettivamente mutuate, dell’obbligo, dei tempi e modalità della
restituzione né avrebbe prodotto le matrici dei tagliandi delle giocate a lotto e i libri contabili della società con indicazione dell’entità e dei tempi delle giocate effettuate dai convenuti.
La Cassazione ha rigettato il ricorso ribadendo che “il contratto di gioco e scommessa intercorre tra il concessionario pubblico e lo scommettitore ed è regolato da un regolamento ministeriale di formazione non pattizia, avente natura di negoziazione pubblico-amministrativa; ne consegue che il raccoglitore delle scommesse è un terzo estraneo al rapporto contrattuale ma che, nel caso in esame, ha assunto il ruolo di mutuante in favore dello scommettitore del denaro necessario per procedere alla scommessa; pertanto la pretesa erronea sussunzione della fattispecie nella disciplina del mutuo anziché in quella della vendita di beni, dedotta con il primo motivo di ricorso, è manifestamente infondata;
la sentenza, nella parte in cui ha qualificato la fattispecie quale “mutuo” è del tutto conforme al consolidato indirizzo di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, secondo cui “La sola consapevolezza, nel mutuante, che la somma data a mutuo sarà impiegata dal mutuatario per giocare o scommettere non è sufficiente ad estendere la disciplina dei debiti di giuoco ad un negozio tipico diverso; pertanto, spetta pur sempre al mutuante l’azione per la restituzione di quanto dato a mutuo, qualora non sussista un suo interesse diretto alla partecipazione al giuoco del mutuatario” (Cass. 3, n. 17686 del 2/7/2019; si veda altresì Cass. 3, n. 14375 del 27/5/2019 secondo cui “L’estensione della disciplina dell’art. 1933 c.c., riguardante i contratti di giuoco, ai mutui a questi collegati – quali dazioni di denaro o di “fiches”, o promesse di mutuo, o riconoscimenti di debito – sussiste solo quando essi costituiscano mezzi funzionalmente connessi all’attuazione del giuoco o della scommessa e siano tali da realizzare fra i giocatori le stesse finalità pratiche del rapporto di giuoco, concorrendo un diretto interesse del mutuante a favorire la partecipazione al gioco del mutuatario”).
Infondato anche il secondo motivo ritenendo il mutuo “un contratto reale che si perfeziona con la consegna da parte del mutuante di una determinata quantità di denaro o di altre così fungibili e l’obbligazione a carico del mutuatario di restituire cose della stessa specie e qualità; per il principio di libertà delle forme non è affatto richiesta la forma scritta se non per il patto sugli interessi sicché le prove testimoniali e l’interrogatorio formale sono mezzi del tutto idonei a provare l’avvenuto perfezionamento, attraverso la materiale dazione del denaro, del mutuo. Né ha pregio l’argomento dei ricorrenti secondo cui l’attore avrebbe dovuto produrre le matrici dei tagliandi delle giocate a lotto a riprova del credito e i registri contabili della società, in quanto il titolo che attesta la giocata al lotto è una ricevuta in possesso dello scommettitore e non del raccoglitore della scommessa”.