(…) la violazione del principio di proporzionalità nei confronti dei titolari degli esercizi soggetti a chiusura si configura, non solo ove la imposizione dei limiti distanziali determini nel territorio comunale la totale inibizione allo svolgimento dell’attività di esercizio di punti di gioco e di raccolta di scommesse, ma anche se l’individuazione delle aree destinate renda impossibile la delocalizzazione delle attività esistenti
Il Consiglio di Stato ha pronunciato sentenza sul ricorso di una società che distribuisce gioco pubblico in sala bingo, difesa dall’avvocato Cino Benelli (nella foto), contro il Comune di Riccione (RN) e la Regione Emilia Romagna per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale (TAR) per l’Emilia Romagna resa tra le parti.
Il TAR per l’Emilia Romagna aveva respinto il ricorso e i motivi aggiunti proposti dalla società che chiedeva l’annullamento degli atti del Comune di Riccione che disponevano il divieto prosecuzione dell’attività di raccolta del gioco.
Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso e i motivi aggiunti della società, riformato la sentenza del TAR e annullato i provvedimenti impugnati. Secondo quanto specificato in motivazione “nel territorio comunale di Riccione la ricorrente non avrebbe potuto proseguire in alcun modo la propria attività, pur essendo concessionaria dell’Agenzia delle Dogane e del Monopoli, con concessione prorogata ex lege ed in corso alla data di adozione dei provvedimenti impugnati, (…). Va pertanto accolta la censura – comune ai motivi d’appello secondo e quinto – di carenza di ragionevolezza e proporzionalità della disciplina comunale adottata in attuazione di quella regionale.
Non è in discussione la conformità a Costituzione, in specie all’art. 41, comma 2, della legislazione regionale sulle distanze delle sale giochi dai luoghi c.d. sensibili (cfr. Cons. Stato, V, 4 dicembre 2019, n. 8298), né la compatibilità con la normativa euro unitaria, considerato che la Corte di Giustizia UE ammette le misure derogatorie alle libertà di stabilimento, di libera circolazione delle merci e di prestazione dei servizi per giustificati motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, oltreché per “motivi di interesse generale” (cfr., tra le altre, Cons. Stato, VI, 11 marzo 2019, n. 1618 e id., 19 marzo 2019, n. 1806). Quanto alla ragionevolezza dell’interdizione, è sufficiente osservare che in plurime occasioni, ed in modo puntuale con la sentenza n. 108 del 2017, la Corte Costituzionale è intervenuta a difesa della normativa regionale, precisando che serve ad “evitare la prossimità delle sale e degli apparecchi da gioco a determinati luoghi, ove si radunano soggetti ritenuti psicologicamente più esposti all’illusione di conseguire vincite e facili guadagni e, quindi, al rischio di cadere vittime della dipendenza da gioco d’azzardo”.
La questione controversa attiene piuttosto agli effetti delle misure adottate dal Comune ed all’idoneità di queste a realizzare un equo contemperamento tra gli interessi pubblici e privati coinvolti, onde evitare che si determini l’ablazione di diritti acquisiti in forza di titoli autorizzatori legittimi.
Rileva al riguardo il principio di proporzionalità, invocato dall’appellante, che impone all’amministrazione comunale di adottare un provvedimento non eccedente quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato; evidenziandosi, altresì, che, definito lo scopo avuto di mira, il principio è rispettato se la scelta concreta dell’amministrazione è in potenza capace di conseguire l’obiettivo (idoneità del mezzo) e rappresenta il minor sacrificio possibile per gli interessi privati attinti (stretta necessità), tale, comunque, da poter essere sostenuto dal destinatario (adeguatezza), come da giurisprudenza costante di questo Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, V, 26-8-2020, n.5223;V, 4-12-2019, n. 8298; V, 20-2-2017, n. 746; V, 23-12-2016, n. 5443; IV, 22-6-2016, n.2753; IV, 3-11-2015, n.4999; IV, 26-2-2015, n. 964).
Con le citate sentenze si è affermato, con argomentazioni che si richiamano e si condividono, che il limite distanziale, comportante il divieto di esercizio delle sale da gioco, delle sale scommesse e dei punti di raccolta in locali che si trovino a una distanza inferiore a 500 metri dai luoghi sensibili, costituisce mezzo idoneo al perseguimento degli obiettivi prefissati di contrasto al fenomeno c.d. della ludopatia (così, con specifico riferimento alla normativa della Regione Emilia Romagna, sia pure in riferimento al Comune di Bologna, Cons. Stato, pareri n. 686/21, n. 1840/21 e 550/22; ma, più in generale, cfr. anche Cons. Stato, V, 6 luglio 2018, n. 4147).
Quanto invece alla conformità della misura al principio di proporzionalità, in riferimento ai parametri della stretta necessità e dell’adeguatezza, non è condivisibile, in linea di principio, l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata che l’accertamento dell’esistenza anche di una pur minima disponibilità di aree idonee alla localizzazione di attività di gioco d’azzardo lecito nel territorio comunale sarebbe preclusivo del c.d. effetto espulsivo illegittimamente pregiudizievole degli interessi privati.
Invero, se questa affermazione è accettabile con riguardo all’installazione di nuove attività imprenditoriali, per contro il giudizio relativo alla stretta necessità e, soprattutto, all’adeguatezza della misura distanziometrica va differenziato quando questa è applicata alle attività imprenditoriali esistenti (come di recente affermato dalla Sezione in sentenze riguardanti la legislazione della Regione Emilia Romagna: cfr. Cons. Stato, V, 28 dicembre 2022, n. 11426 e id., V, 16 dicembre 2022, n. 11036).
La gradualità con la quale, nel caso della Regione Emilia Romagna, l’amministrazione ha agito, onde pervenire alla c.d. delocalizzazione, costituisce già una misura di salvaguardia degli interessi privati (cfr. sul tema, Cons. Stato, parere n. 550/22).
Tuttavia la violazione del principio di proporzionalità nei confronti dei titolari degli esercizi soggetti a chiusura si configura, non solo ove la imposizione dei limiti distanziali determini nel territorio comunale la totale inibizione allo svolgimento dell’attività di esercizio di punti di gioco e di raccolta di scommesse, ma anche se l’individuazione delle aree destinate renda impossibile la delocalizzazione delle attività esistenti, per insufficienza quantitativa o per limitazioni urbanistico edilizie, secondo una valutazione che si ritiene – in ciò parzialmente discostandosi da quanto affermato in altre occasioni (cfr. Cons. Stato, V, n. 8298/19 cit., nonché Cons. Stato, parere n. 689/21) – debba essere fatta in concreto e non in astratto, rilevando, per gli esercizi costretti a delocalizzare entro un tempo predeterminato (nel caso di specie, sei mesi, prorogabili di altri sei), gli impedimenti anche soltanto meramente fattuali.
Formulato perciò in tale senso il secondo quesito della verificazione, va apprezzato l’accertamento del verificatore (sopra esposto) secondo cui la ri-collocazione nel territorio del Comune di Riccione dell’attività della sala Bingo, quale quella della ricorrente, è stata di fatto resa impossibile – tale cioè da rendere in concreto inesigibile la delocalizzazione – dalla tipologia degli ambiti territoriali di destinazione.
Risultano infatti da quanto sopra individuati precisi limiti urbanistico-edilizio impeditivi del trasferimento.
6.4. A ciò si aggiunga che la società ha fornito anche diversi elementi di prova dell’impossibilità di reperimento di edifici idonei all’installazione di una sala “Bingo” nell’intero territorio comunale.
6.4.1. Il riconoscimento da parte della difesa comunale che “il rilascio della concessione per l’esercizio di una sala Bingo è subordinato al possesso di particolari e severi requisiti strutturali e dimensionali dei locali e la validità della concessione è limitata ad un determinato territorio […]” non giova alla causa del Comune di Riccione, sol che si consideri che la prima causa del mancato reperimento di un sito idoneo è rinvenibile nella combinazione tra il limite distanziometrico ed i limiti urbanistici del RUE.
La stessa Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, d’altronde, nel presupposto dell’operatività del regime di proroga delle concessioni di cui all’art. 1, comma 636, della legge n. 147/2013, come modificato dall’art. 1, comma 934, della legge n. 208/2015, dall’art. 1, comma 1047 della legge n. 205/2017 e dall’art. 1, comma 1096, della legge n. 145/2018, non ha potuto fare altro che dare atto che la concessionaria “nell’impossibilità di trasferire la sala al di fuori per espresso divieto legislativo e all’interno del medesimo comune per mancanza di spazi idonei, si trova nell’impossibilità oggettiva di poter proseguire l’attività con gravissimi riflessi sugli interessi pubblici coinvolti: livelli occupazionali, contrasto al gioco illegale, ordine pubblico e gettito erariale” (come da nota del 27 agosto 2019).
Per di più è stata la stessa Agenzia delle Dogane e dei Monopoli a chiedere al Comune di accordare la sospensione del procedimento di chiusura dell’attività, negata con il provvedimento, del pari impugnato, del 15 settembre 2019.
L’assunto del Comune circa un’asserita inopponibilità all’amministrazione comunale della nota anzidetta, qualificata come di “diniego di trasferimento”, e la correlata affermazione della sentenza di primo grado che quest’ultimo avrebbe dovuto essere impugnato da parte della ricorrente non meritano condivisione. Si tratta infatti di provvedimento del quale non risultano dedotti vizi che avrebbero legittimato il ricorso giurisdizionale, senza incorrere nell’abuso del processo e comunque sostanzialmente applicativo di una norma di legge che vieta il trasferimento delle sale Bingo al di fuori dei confini comunali e ricognitivo dello stato di fatto e di diritto del territorio comunale di Riccione, quale accertato anche all’esito della verificazione”.