“Nessuna responsabilità è possibile imputare alla Società (Telegram ndr) in merito ai contenuti illeciti diffusi presso la piattaforma di condivisione di video Telegram in violazione dell’articolo 9 del Decreto dignità, sebbene ricada su di essa un dovere specifico di agire immediatamente per rimuovere i contenuti illegali o per disabilitare l’accesso agli stessi, non appena venga a conoscenza di tali attività o contenuti illegali o divenga consapevole di tali fatti o circostanze”.
Con questa motivazione l’AGCOM ha disposto l’archiviazione di un procedimento avviato nei confronti di Telegram per presunta violazione del divieto di pubblicità al gioco d’azzardo.
Il procedimento era stato originato a partire dalle segnalazioni pervenute all’Autorità relative a presunte violazioni dell’art. 9 del Decreto dignità effettuate attraverso la piattaforma di condivisione video “Telegram”, accessibile dal sito web.telegram.org.
“Il suddetto sito web, nonché i relativi servizi forniti dalla piattaforma online, è controllato dalla società Telegram FZ-LLC, con sede in Business Central Towers, Tower A, Office 1003/1004, P.O. Box 501919, Dubai, Emirati Arabi Uniti. Nell’ambito dell’attività pre-istruttoria, l’Autorità ha accertato la presenza, in 17 canali Telegram, di contenuti di promozione o comunque di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro ovvero di invito alla pratica del gioco d’azzardo in presunta violazione dell’art. 9, comma 1, del Decreto dignità.
Dalle verifiche effettuate sui suddetti canali Telegram sono emersi gli elementi di seguito evidenziati:
1) i contenuti individuati invitavano alla pratica del gioco d’azzardo o comunque incentivavano all’acquisto e al consumo di giochi o scommesse con vincite in denaro, così realizzando un’attività promozionale del gioco medesimo nei confronti pubblico;
2) nei canali venivano illustrate anche le modalità per accedere ai siti di gioco con vincite in denaro, i bonus e i sistemi di pagamento che si possono usare per depositare e ritirare le vincite, anche sotto forma di recensioni;
3) in tutti i contenuti venivano utilizzate espressioni enfatizzanti il gioco medesimo, e le vincite in denaro, anche nei titoli dei contenuti stessi o nei commenti all’interno delle chat (mediante l’uso di emoticon, immagini, segni);
4) i canali risultavano essere liberamente accessibili tramite applicazione mobile, previa autenticazione, e la registrazione sull’applicazione non richiedeva conferma dell’età dell’utente;
5) in nessuno dei canali sopra individuati erano mostrati gli estremi dell’eventuale autorizzazione da parte dell’Agenzia Accise, Dogane e Monopoli.
Per quanto riguarda l’applicazione del divieto previsto dal Decreto a proprietari di siti di diffusione via internet – precisa AGCOM- occorre valutare in concreto se una piattaforma che fornisce un servizio di condivisione video come Telegram, sia configurabile come esente daresponsabilità per le condotte illecite sopra descritte.
A questo proposito, occorre richiamare che la sentenza del Consiglio di Stato n. 4277 del 2024, relativa ad un analogo caso di violazione dell’art. 9 del Decreto dignità, ha escluso che la disciplina di cui all’art. 16 del d.lgs. n. 70/2003 possa applicarsi anche nella fattispecie concernente il divieto di pubblicità del gioco d’azzardo, considerato che ‹‹la Direttiva 2000/31/CE esclude testualmente dal proprio ambito di applicazione (art. 1, comma 5) “i giochi d’azzardo che implicano una posta pecuniaria in giochi di fortuna, comprese le lotterie e le scommesse”, specificando che “tale esclusione non riguarda solamente l’attività che ha ad oggetto lo svolgimento on line del gioco d’azzardo a pagamento […] ma anche l’attività diretta alla pubblicizzazione dei giochi medesimi›› (enfasi aggiunta), facendo rilevare che, non essendovi dei vincoli comunitari riferibili a tale materia, questa risulta disciplinata esclusivamente dalle disposizioni nazionali, contenute nel c.d. Decreto dignità.
Pertanto, alla luce della richiamata decisione giurisprudenziale, l’illecito amministrativo discendente dalla violazione del divieto di cui all’art. 9 del Decreto dignità è disciplinato dalle ordinarie regole in materia di illeciti amministrativi dettate dall’art. 3 della legge n. 689 del 1981, senza potersi pertanto fare applicazione, nel caso di specie, del regime privilegiato di responsabilità riservato agli hosting provider passivi.
Inoltre, in termini generali si osserva che secondo l’articolo 6, comma 1, del Regolamento DSA, “il prestatore del servizio non è responsabile delle informazioni memorizzate su richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore: a) non sia effettivamente a conoscenza delle attività o dei contenuti illegali e, per quanto attiene a domande risarcitorie, non sia consapevole di fatti o circostanze che rendono manifesta l’illegalità dell’attività o dei contenuti; oppure b) non appena venga a conoscenza di tali attività o contenuti illegali o divenga consapevole di tali fatti o circostanze, agisca immediatamente per rimuovere i contenuti illegali o per disabilitare l’accesso agli stessi.” (enfasi aggiunta).
“Nel caso di specie, alla luce di quanto emerso dall’attività istruttoria circa l’assenza di rapporti commerciali con i content creator titolari dei canali Telegram oggetto della contestazione, si ritiene che non possa essere imputata alcuna responsabilità alla Società, in quanto la stessa appare non aver avuto alcuna conoscenza circa l’illecito commesso presso la propria piattaforma. In questo senso, sulla base degli elementi raccolti in fase istruttoria, la condotta di Telegram appare soddisfare la condizione stabilita dall’art. 6, comma 1, lett. a) del Regolamento DSA.
Parimenti, si rileva che il fatto che la Società abbia immediatamente rimosso tutti i contenuti identificati nell’atto di contestazione, disabilitando i canali attraverso i quali erano veicolati, non appena avuta notizia della violazione, porta a concludere che anche la condizione stabilita all’articolo 6, comma 1, lett. b) del predetto Regolamento DSA sia soddisfatta.”
Nel caso concreto l’Autorità ha ritenuto che “tenuto anche conto del comportamento complessivamente tenuto alla Società in merito ai contenuti illeciti diffusi presso la piattaforma di condivisione di video Telegram in violazione dell’articolo 9 del Decreto dignità – la quale si è immediatamente adoperata, non appena ricevuto l’atto di contestazione n. 12/23/DSDI del 17 luglio 2023, a rimuovere i contenuti illeciti e disabilitare l’accesso dall’Italia ai canali Telegram indicati in detto atto – non è possibile imputare alla Società alcuna responsabilità ai sensi dell’art. 3 della legge n. 689/1981, nemmeno per omissione colposa, in termini cioè di mancata adozione di idonee cautele a monte (onere di vigilanza specifico) al fine di evitare/prevenire la diffusione dei contenuti analoghi o equivalenti a quelli individuati nell’atto di contestazione – caricati su tale piattaforma da parte dei content creator titolari dei canali Telegram indicati nell’atto di contestazione – per l’assenza con questi ultimi di alcun rapporto commerciale così come di alcuna conoscibilità ex ante dei suddetti contenuti”.