La Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria, ha sollevato questione di legittimità costituzionale e rinviato la decisione sul ricorso contro l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli presentato da un operatore difeso dall’avvocato Cino Benelli (nella foto) in merito alla sentenza della Corte d’appello di Bologna che condanna l’operatore al pagamento di 20mila euro per la gestione di un totem irregolare.
La Guardia di Finanza di Ferrara, nel 2016, accertò che nel bar del ricorrente era presente un totem, acceso, funzionante e utilizzato da un avventore, dotato di dispositivo per l’inserimento di banconote e che consentiva la connessione telematica a una piattaforma di gioco messa a disposizione da soggetto non autorizzato all’esercizio dei giochi a distanza. All’epoca fu contestata la violazione dell’art. 7, co. 3-quater,
d.l. 13/9/2012 n. 158, convertito nella legge 8/11/2012 n.189, e irrogata, con successiva ordinanza-ingiunzione, la sanzione amministrativa di Euro 20.000, ai sensi dell’art. 1, comma 923, della legge n. 218/2015. Il ricorrente propose opposizione contro l’ordinanza-ingiunzione, la quale fu accolta dal Tribunale di Ferrara ma l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli – Ufficio dei Monopoli per l’Emilia Romagna propose appello che fu accolto dalla Corte d’appello di Bologna riformando integralmente la decisione impugnata, rigettando l’opposizione all’ordinanza-ingiunzione proposta dal ricorrente.
La Corte bolognese – con la sentenza impugnata – evidenziò, quindi, che la violazione ascritta al ricorrente “era venuta a costituire oggetto di una specifica disciplina e di una specifica previsione sanzionatoria, per cui la relativa fattispecie non avrebbe che potuto atteggiarsi in termini di specialità rispetto alla generalità di tutte le possibili condotte nella quali potesse essere, in ipotesi, ravvisata la non rispondenza “alle caratteristiche e prescrizioni indicate nei commi 6 e 7” di cui all’art. 110, comma 9, lett. c), del TULPS (nell’ambito delle quali si ricomprendeva quella addebitata all’appellata), di modo che la fattispecie che veniva in rilievo nella specifica vicenda non avrebbe potuto ritenersi più disciplinata dal citato articolo del TULPS, ma appunto, sul piano sostanziale, dal d.l. n. 158/2012 (conv., con modif., nella legge n. 189), in combinata disposizione con l’art. 1, comma 923, della legge n. 208/2015, che era venuto a disciplinarne gli aspetti e le conseguenze sanzionatorie”.
Lo Suprema Corte di Cassazione scrive nell’ordinanza:
“CONSIDERATO: che con il primo motivo – rubricato “nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. in relazione agli artt. 99, 100, 324, 342 e 434 c.p.c. e 2909 c.c.” – il ricorrente sostiene che l’Agenzia delle Dogane appellante non aveva sottoposto a critica con il suo appello i capi della sentenza di primo grado che avevano evidenziato come il ricorrente fosse stato assolto dal Tribunale penale di Ferrara con sentenza passata in giudicato, mediante la quale non solo era stata esclusa la configurabilità di reato, ma anche dichiarato che l’illecito amministrativo imputabile al ricorrente non poteva che essere quello regolato dall’art. 110, comma 9, TULPS, che prevedeva la più lieve sanzione pecuniaria di Euro 4.000,00 per ciascun apparecchio contestato, con la facoltà di chiedere il
pagamento in misura ridotta ex art. 16 legge 689/1981; che, pertanto, a fronte del dato che l’Agenzia appellante non aveva sottoposto a censura tali statuizioni, il giudice di secondo grado avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’appello; ciò in applicazione del principio secondo il quale, allorché la sentenza impugnata sia fondata su diverse rationes decidendi idonee entrambe a giustificarne le statuizioni, l’impugnazione rivolta soltanto contro una ratio comporta che la sentenza, in quanto fondata sulla ratio non criticata, si deve ritenere passata in giudicato; che con il secondo motivo rubricato – “in subordine: violazione e/o falsa applicazione della legge ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 1, comma 923 L. n. 208/2015 e 7, comma 3quater D.L. n. 158/2012, conv. in L. n. 189/2012 alla luce dell’art. 3 Cost., in combinato disposto con gli artt. 42 e 117, primo comma, Cost., in riferimento all’art. 1 Protocollo Addizionale CEDU” – il ricorrente, sul presupposto che con sentenza n. 185/2021 la Corte costituzionale aveva dichiarato illegittima altra disposizione normativa contemplante una sanzione amministrativa in misura fissa contenuta nello stesso d.l. n. 158/2012 (cd. “decreto Balduzzi”), ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 923, della legge 205/2015, nella parte in cui punisce indistintamente e con sanzione fissa qualsiasi violazione all’art. 7 co. 3-quater D.L. 158/2012, senza differenziare tra proprietari e esercenti, tra concessionari autorizzati e non autorizzati al gioco a distanza e senza considerare il volume di gioco illecito, rilevando, in proposito, che la fissità della sanzione, combinata alla sua apprezzabile entità “quantomeno nell’attuale contesto di emergenza pandemica”, comporta la manifesta sproporzione per eccesso della reazione sanzionatoria rispetto al disvalore concreto dei fatti.
RITENUTO: che, con riguardo a questo secondo motivo, risulta essere stata – in altro procedimento rubricato al n. RG 38642/2019, trattato alla pubblica udienza del 9 gennaio 2024 – sollevata la sollecitata questione di legittimità costituzionale, la cui ordinanza è di prossima pubblicazione, ragion per cui si ravvisa l’opportunità di differire la trattazione del presente ricorso a nuovo ruolo, in attesa della definizione dell’incidente di costituzionalità”.