“Nei giorni scorsi è stata pubblicata un’interessante intervista al dottor Massimo Barra, già presidente della Croce Rossa Italiana e fondatore della Fondazione Villa Maraini, un’istituzione che, fin dal 1976, svolge un importante ruolo nella cura e la riabilitazione dalle tossicodipendenze, abuso di alcol e gioco d’azzardo. Le dichiarazioni del dottor Barra possono essere racchiuse nel concetto che le distanze delle attività di gioco dai c.d. luoghi sensibili e le limitazioni orarie sono strumenti che non hanno alcuna efficacia nella prevenzione della dipendenza da gioco ma rappresentano semplicemente <<delle battaglie di retroguardia>> e che sia <<un’illusione pensare di combattere il fenomeno in questo modo>>. Si tratta di dichiarazioni che offrono diversi spunti di riflessione”. E’ quanto scrive l’avv. Isabella Rusciano (nella foto) di AsTro.
“Il dottor Barra non è il primo ad aver posto l’accento sull’inutilità di simili strumenti per combattere i fenomeni di dipendenza legati al gioco. Già nel 2018 – prosegue Rusciano -, dallo studio presentato dall’Istituto Superiore di Sanità emergeva che <<capillarità e prossimità non sono elementi favorenti la problematicità>>. Il citato studio ha, inoltre, evidenziato come tra le principali motivazioni che muovono il giocatore problematico nella scelta del posto in cui giocare ci sia proprio la “riservatezza” che gli viene meglio garantita nelle zonedistanti dai centri urbani e, ancor di più, lontani dai luoghi in cui è radicata la propria vita familiare e lavorativa.
In tema di limitazioni orarie, la psichiatra dott.ssa Sarah Viola, già direttore scientifico del Centro di Psicologia Clinica presso la Casa di Cura “San Francesco” di Bergamo, Responsabile del Reparto DCA dell’Ospedale Sant’Isidoro di Trescore Balneario (BG) e Giudice Onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bergamo aveva evidenziato quanto sia << perdente il concetto di poter dare un limite esterno ad una dipendenza (…) qualsiasi forma di limitazione avrà l’effetto paradossale di aumentare il bisogno, di rendere più piacevole il momento in cui il limite viene infranto, raggirato o, semplicemente accettato e superato (…)>>.
E’ interessante riflettere – aggiunge Rusciano – sul fatto che l’uso del normale buon senso e della comune esperienza sarebbero stati sufficienti a comprendere, da parte dei decisori politici, che un soggetto affetto da una dipendenza non si fa certo scoraggiare dal dover percorrere cento metri in più per soddisfare un proprio bisogno compulsivo e che, per quanto riguarda le limitazioni orarie, le stesse determinino soltanto una “ghettizzazione temporale” dei ludopatici, rispetto ai quali, il disagio di dover attendere “la fascia oraria consentita” non rappresenta certo un deterrente al loro desiderio irrefrenabile di giocare che viene, anzi, amplificato da questa attesa, resa -per scelta amministrativa- ancor più trepidante.
È facilmente intuibile ritenere che, se si consente di giocare legalmente soltanto dalle 19.00 alle 07.00 (come, ad esempio, nel Comune di Ventimiglia) o soltanto un’ora al giorno (come stabilito, di recente, nel Comune di San Lazzaro di Savena), l’unico effetto che si possa ottenere sia quello di creare uno “spazio/ghetto” temporale riservato ai ludopatici e, al contempo, quello di impedire agli utenti che giocano per mero divertimento di decidere liberamente come occupare il loro tempo libero. Lo stesso può dirsi dell’idea di relegare le attività di gioco legale all’interno delle sole zone periferiche delle città.
È ormai evidente – evidenzia Rusciano – che in Italia esista un fronte politico trasversale che vorrebbe abolire il gioco legale. I più sono mossi da sincere (e legittime) motivazioni etico-ideologiche grazie alle quali riescono a relegare al rango di accettabile effetto collaterale l’idea di tornare all’epoca dei videopoker e degli angusti e fumosi meandri in cui proliferava il gioco clandestino (interamente nelle mani della criminalità) prima della legalizzazione.
Abbiamo, però, anche l’impressione che questi interventi spot (limitazioni orarie e distanziometro) non siano soltanto il frutto di una pulsione ideologica ma anche della presa di consapevolezza, da parte della politica, della progressiva riduzione della sua capacità (generale) di incidere su una realtà che sembra ormai sovrastarla, se non addirittura plasmarla.
È a causa di questa consapevolezza che, messa di fronte ai problemi reali, la politica tende spesso a rifuggire dall’analisi della complessità per cercare un conforto autoreferenziale in soluzioni tanto inutili quanto eclatanti. La differenza tra i diversi schieramenti sta solo nella scelta del capro espiatorio di turno.
Ed è in questo contesto, peraltro, che hanno trovato terreno fertile alcuni “esperti”, i quali, in cerca di un autore che gli riconoscesse un “ruolo”, hanno inventato soluzioni medioevali da sperimentare nell’epoca del metaverso e individuato il loro “autore” in una politica in perenne ricerca di facili ispirazioni.
Se il contesto non fosse realmente quello appena descritto – spiega Rusciano -, verrebbe da chiedersi perché gli appartenenti a questo variegato mondo dell’“antigioco” (trasversalmente ben rappresentato anche in Parlamento), piuttosto che uscire allo scoperto con una chiara iniziativa legislativa volta all’abolizione del gioco legale, continuino a muoversi attraverso l’ambigua strategia di scardinare il sistema del gioco pubblico legale colpendo le imprese private che lo gestiscono per conto dello Stato, nel tentativo, spesso andato a segno, di provocarne la morte per consunzione.
Di certo, ormai, alla declamata finalità di volere combattere la dipendenza da gioco utilizzando strumenti come il lucchetto, il metro e l’orologio – in un mondo dominato dalle reti digitali e dall’intelligenza artificiale – non credono più neanche loro.
La dimostrazione plastica degli effetti di questo approccio – sottolinea Rusciano – la si rinviene nel contenuto del comunicato con cui la Regione Emilia-Romagna si è fregiata, di recente, del merito di aver ottenuto, attraverso la legge regionale 5/2013, la chiusura del 45% delle sale giochi (regolarmente autorizzate) dichiarando, al contempo, che (nonostante tale falcidia) le persone affette da dipendenza da gioco sono aumentate, nel territorio regionale, del 143%.
Non abbiamo motivo di dubitare che, quando assunsero la decisione di chiudere centinaia di attività imprenditoriali legalmente operanti nel territorio regionale, fossero veramente convinti di poter sferrare un colpo importante contro la dipendenza da gioco.
Ci saremmo però aspettati che, una volta preso atto di quanto quella strategia si sia rivelata (per loro stessa – indiretta – ammissione) del tutto fallimentare, anziché manifestare la loro soddisfazione per aver chiuso centinaia di attività commerciali, avessero avuto almeno la sensibilità di chiedere scusa alle persone che, per effetto di quella scelta rivelatasi miope, hanno perso il loro posto di lavoro.
A questo punto confidiamo nella possibilità che il processo, già in atto, di riordino del sistema dei giochi pubblici, possa rappresentare, finalmente, l’occasione per lasciarsi alle spalle queste posizioni pregiudiziali e consentire alla politica di riappropriarsi di quello spirito laico e pragmatico che contrassegnò il processo di legalizzazione del gioco avviato nei primi anni duemila, valorizzandone e rafforzandone le finalità che lo ispirarono: consentire agli utenti di poter giocare responsabilmente mediante l’utilizzo di prodotti idonei a garantire l’assenza di frodi ai loro danni, tutelare la legalità sottraendo spazi di mercato alla criminalità, tutelare la salute dei giocatori e, non da ultimo, quella di garantire allo Stato l’afflusso di risorse finanziare certe altrimenti appannaggio delle organizzazioni criminali”, conclude Rusciano.