L’ultima trovata delle compagnie aeree ‘low cost’: offrire giochi d’azzardo a bordo
(Jamma) “Qui s’ha tutto da rifare”. Parafrasando uno slogan di Bartali, Umberto Rapetto, una delle massime autorità in tema di cybercrime e guerra informatica in un’intervista rilasciata al quotidiano Vita ha esplicato come sia facile taroccare le slot e come tutto il sistema sarebbe da rivedere. Per l’ex colonnello comandante del Gat nucleo speciale frodi telematiche “Dovrebbe produrle lo Stato”.
Di seguito il testo integrale dell’intervista realizzata da Marco Dotti
Fondatore e per undici anni direttore del GAT, il gruppo anticrimine Tecnologico della Guardia di Finanza, Umberto Rapetto è tra le massime autorità in tema di cybercrime e guerra informatica. Nel 2012, da una sua indagine è nata la prima, clamorosa sentenza di condanna da parte delle Corte dei Conti nei confronti di molti amministratori dell’Aams e di dieci società concessionarie, multate con 2,5 miliardi di euro (la contestazione iniziale, che faceva leva sui documenti di Rapetto, era però di 98 miliardi di euro) per il danno erariale prodotto dalle slot machine “invisibili” alla rete di controllo.
Lasciata la divisa, Umberto Rapetto oggi è consulente strategico di Telecom, oltre che docente in numerosi atenei italiani e europei. Lo abbiamo incontrato a Gorizia, dove lo scorso 22 maggio ha partecipato al Festival “È storia”, con una relazione proprio sulle truffe telematiche.
Tra gioco d’azzardo, legalità e vita quotidiana sembra di assistere a un movimento che in gran parte riproduce quello che complessivamente ha legato economia finanziaria e economia reale in una stretta che sappiamo potenzialmente mortale, ma da cui è comunque difficile affrancarsi…
Il vero problema è che la macchina del gioco produce soldi. Questa produzione di soldi viene spesso interpretata – e lo è – come “economia”. Il problema è quindi il conflitto che si può innescare tra economia e etica. Bisogna pertanto cercare di individuare i soggetti che – volenti o, più spesso, nolenti – sono in condizione di generare questi soldi. O meglio, sono in condizione di generare un debito per inseguire un sogno. Secondo quelli che ritengono il gioco una sorta di male necessario, del gioco ne ha bisogno lo Stato ma, soprattutto, ne avrebbe bisogno il cittadino al quale lo Stato non dovrebbe negare la possibilità di avere un sogno tirando la leva di una slot o grattando un biglietto. Grattando un biglietto o tirando la leva di una slot il giocatore potrebbe ottenere tutto quello che ha perso in precedenza e magari capitalizzarlo, ottenendo degli interessi e poi, finalmente, una vincita.
La tesi del male minore risale agli ultimi anni del XVIII secolo e ci riporta alle polemiche sulla liceità del gioco del lotto che condussero al ritiro della scomunica dei giocatori da parte di Clemente XII… Meglio controllare il “male minore” del gioco, si diceva, ma garantire un introito certo all’Erario, piuttosto che lasciare tutto nella clandestinità…
Quella del gioco è una dinamica illusoria. La capitalizzazione di ciò che è stato perso, il recupero del debito, la messa a profitto di interessi e la vincita del tutto presunta, non fanno che innescare questa dinamica. È una dinamica che ha ingenerato da un lato i più fantasiosi sistemi di intrattenimento per offrire una gamma di soluzioni, sempre diverse e sempre più innovative, e dall’altro mancanza di educazione. Il fatto che nessuno, fino a tempi recenti, ne abbia mai parlato ha fatto sì che tutto si tramutasse in una sorta di esca incredibilmente appetibile. Stupisce che i mezzi di informazione si occupino di questo problema solo dopo che su questo fronte sono stati compiuti ampi disastri, ignorando non solo la storia passata, ma anche quella recente. Il fenomeno attuale affonda le sue radici una ventina di anni fa, quando si è passati da un “gioco d’azzardo domestico” (pensiamo alla schedina del Totocalcio, pensiamo al Totip, pensiamo a quello che poteva essere il biglietto della lotteria di Capodanno) a un gioco disponibile h24. Da qui si è scoperto l’interesse per i cosiddetti “Gratta & Vinci” e, poco alla volta, con i primi giochi che si sono affacciati nei locali pubblici – pensiamo al videopoker – ci si è resi conto che anche uno strumento meccanico consentiva “grandi emozioni” capitalizzabili…Esistevano certo delle tabelle che, secondo il Testo Unico di Pubblica Sicurezza, vietavano il ricorso alla pratica di determinati “giochi, ma i meccanismi di regolamentazione sono stati molto lenti rispetto a una macchina che garantiva comunque un introito anche per lo Stato.
Qual è la situazione in questo momento?
Il gioco d’azzardo è diventato un meccanismo diffuso endemicamente, ha prodotto degli effetti di carattere sociale con delle forme di dipendenza, ha favorito indebitamento e usura – visto che le persone hanno scommesso anche se non soprattutto soldi che non avevano – ha dato modo al crimine organizzato di radicarsi. Noi siamo ancora convinti che il crimine organizzato sia quello di Provenzano chiuso in un ovile. Al contrario… Il crimine organizzato ha il colletto bianco e nessuno impedisce a una struttura criminale di mettere in piedi una Società per Azioni. Ecco perché dovremmo avere un’attenzione elevatissima per capire quali possono essere le terminazioni finanziare del crimine organizzato in quello che è il contesto industriale, economico e commerciale di tutti i giorni. Teniamo conto che i figli dei mafiosi di un tempo hanno studiato, magari sono stati a Oxford, sono persone di grandissime capacità. Quello che ci preoccupa non è la loro capacità, ma che determinate doti vengano indirizzate per un obiettivo che è tutt’altro che “umanitario” o “sociale”. Lo Stato ha fatto molto poco, mentre l’evoluzione tecnologica ha favorito chi aveva pessime intenzioni su quel fronte. Lo Stato, ovviamente, ha avuto la sua parte adducendo ragioni di cassa. Ma tanto valeva – lo dico in via provocatoria – istituire una tassa sulla morte: visto che tutti moriamo, alla morte di un nostro caro si stabilisce per legge che i suoi beni vadano allo Stato. È questo il modo di intervenire?
Il cittadino normale, quello che non gioca e non è interessato a giocare, però si chiede come sia possibile che nessuno intervenga con decisione in questo ambito per capire se tutto funziona in maniera corretta e secondo le norme, capendo ad esempio se una slot machine è effettivamente collegata con la rete telematica di controllo…
Non è facile. Grazie alla miniaturizzazione, la tecnologia consente a uno strumento di ridottissimo ingombro di svolgere la funzione di dieci cose più grandi, tutte esistenti all’interno di un medesimo contenitore. Questo significa che se all’interno di un dispositivo capace di intrattenere e far scommettere mettiamo una scheda lecita e omologata, nessuno però impedisce a chi predispone quell’oggetto – omologato per esemplare unico, non vengono passati al controllo uno a uno – di inserirvi altro. La macchina non può essere sigillata, perché necessiterà certamente di manutenzione. Il fatto che siano oggetto di manutenzione, fa sì che se le schede interne consentono un’espansione funzionale – vale a dire si possono agganciare a altri dispositivi poco ingombranti, come una pendrive – basta inserire un piccolo dispositivo che con un telecomando nelle mani del gestore dell’esercizio pubblico, che è l’ultimo anello della catena, fa sì che il dispositivo può essere “switchato”, ossia girato dal funzionamento lecito al funzionamento illecito.
Questo che cosa comporta?
Comporta che la scheda originaria continua a dialogare e risulta che la macchina non è impiegata, eppure sta funzionando e continua a giocare. Nella perversione, se vogliamo e magari non è lontano dal vero, che ci possa essere la possibilità di regolare la possibilità di vincita…
Questo nel momento in cui la macchina è “girata”, è offline e quindi non mostra i propri movimenti alla rete di controllo…
Esatto, perché sta girando su una delle schede parallele che sono state montate. Ovviamente quasi nessuno sarebbe in grado di fare un controllo che ne determini il funzionamento solo sulla scheda omologata. Lo sforzo di natura investigativa e di controllo va dunque a confliggere con una impossibilità di fatto… Ci troviamo di fronte a qualcosa che è più grande delle risorse impiegabili.
Non servono o comunque non bastano deleghe e poteri attribuiti alle polizie locali…
No, perché non è un compito di carattere meramente amministrativo. Non si tratta di controllare se c’è un bollo, una certificazione, un timbro sul libretto.
Andiamo all’assurdo e immaginiamoci una possibile via di uscita da un sistema che, così articolato, non sembra offrirne. Lei che cosa farebbe?
Se proprio non potessimo vietare il tutto, farei in modo che quella macchinette venissero prodotte dallo Stato. Non solo per responsabilizzare lo Stato rispetto a un processo in cui è comunque parte in causa, ma anche per offrire garanzie che altrimenti non avremmo. Producendole, lo Stato offrirebbe maggiore garanzia che, almeno per il primo periodo, quelle macchine hanno la possibilità di funzionare secondo certi standard. Se lo Stato potesse garantire di avere un vero e proprio monopolio nella produzione di questi apparecchi avremmo la certezza che sono state poste tutte le misure di sicurezza e che lo strumento non è modificabile. Questo è un primo livello di intervento, che ovviamente non vedrebbe d’accordo le imprese del settore che nella produzione e manutenzione di slot machine hanno una gran parte del proprio business.
Un secondo livello può riguardare interventi per interfacciare sia la manutenzione, eseguibile da remoto, sia la tracciabilità del denaro giocato, magari attraverso la tessera sanitaria…
Questo aprirebbe comunque grandi problemi relativamente alla privacy. Si tratta però di immaginare un percorso di progressiva approssimazione a una posizione etica. Il primo passo potremmo riassumerlo in uno slogan di Bartali: “qui s’ha tutto da rifare”. Dovremmo acquisire i progetti, facendo in modo che queste macchine vengano prodotte solo dallo Stato e nel reale interesse di chi gioca. Finché la macchina viene prodotta da un terzo, rispetto allo Stato, noi possiamo trovarci di fronte a macchine che fanno tutto ciò che devono, ma fanno anche qualcosa di più. Bisognerebbe immaginare un sistema di produzione con controlli rigorosissimi e sanzioni pesantissime e con dei check funzionali che consentano di vedere se quella macchina fa davvero quello che è chiamata a fare e non qualcosa di più. Il pensiero che il gestore di un locale, nel momento in cui installa le macchinette – e spesso la sua scelta è coartata – disponga anche di un telecomando per regolare il gioco su una scheda “visibile” o su un’altra… Ecco, queste sono cose che quando uno se le sente raccontare fanno accaponare la pelle. Il pensiero che, al di là dell’alea del gioco, ci sia anche l’incertezza sul fatto che magari qualcuno stia barando è un problema che si aggiunge al problema.
La privacy è un problema, certo, ma lo è ancora di più il fatto che se devo depositare denaro contante in banca la mia privacy viene meno per ragioni di “trasparenza” e antiriciclaggio, mentre se gioco 20.000 euro tutto passa in secondo piano…
Qui casca l’asino. Se parliamo di redditometro, perché non inserire nel redditometro quanto una persona ha giocato durante l’anno? Lo troverei molto più ragionevole che inserire, che ne so, le spese correnti… La tracciabilità e l’incrocio dei dati tra tessera sanitaria e codice fiscale potrebbe rivelare molte cose. Potrebbe rivelare, ad esempio, che molta gente gioca soldi che non ha e quindi ci porterebbe a chiederci come fa a reperire il contante per giocare. Basterebbe chiedere a chi gioca e scommette più di certe cifre come fa a avere la disponibilità di quelle cifre.
Abbiamo parlato delle slot machine “fisiche”, quelle che vediamo nei bar. Ma dal dicembre scorso sono state autorizzate anche le slot machine on line, che in pochi mesi hanno fatturato cifre da capogiro: solo nel mese di marzo la raccolta è stata di 760 milioni di euro, con una tassazione bassissima e un introito quasi nullo per le casse dell’Erario…
Non solo, oltre al “legale” esiste tutto un alveo di possibilità di bucare il sistema che ha dell’incredibile. Molti siti sono bloccati perché non autorizzati dall’Aams. Ma i siti bloccati hanno un’altissima capacità di segnalare ai giocatori – bananalmente, tramite mail – il loro cambio di ubicazione e indirizzo. Così, accanto a una ridotta aggressività istituzionale nei confronti dei siti on line si vanno a aggiungere le dinamiche di nomadismo che consentono agli illegali di farla franca. Non esistono, però, solo i siti, ma anche sistemi di piattaforme che disponendo di certe credenziali permettono l’accesso solo a alcune persone, come in un club privato. Quindi anche chi vuole esercitare il controllo si trova di fronte una barriera digitale che non gli consente di sapere cosa avviene all’interno di quel sito. Ai fini investigativi, però, questo tipo di gioco ha un punto di riferimento: l’uso delle carte di credito. Qual è il vero problema? Che esistono carte di credito e di gioco che sono anonime. La moneta legata al gioco d’azzardo e la moneta elettronica legata al gioco d’azzardo hanno avuto una pervasività incredibile. I flussi monetari sono oramai totalmente internazionalizzati. Io posso immettere denaro sporco in un Paese, tramutarlo in forme di credito nei confronti di qualunque organizzazione mi offra un servizio in un altro Paese e poi farlo circolare su carte di credito aperte all’estero. Denaro che ha provenienza distutibile, una volta immesso nel sistema diventa denaro a tutti gli effetti e quindi difficilmente riconducibile a attività illecite. È un problema di flussi. Il fatto che esistono soggetti che aprono conti con documenti falsi, ma anche carte di credito non riconducibili a conti e persino, entro certi limiti, anonime permettono di aggirare i controlli tradizionali e cavalcare l’onda di questi flussi, nella finanza e nell’azzardo. Per agire dobbiamo capire e capire richiede uno sforzo continuo di intelligenza e scaltrezza. Ma non abbiamo scelte: dobbiamo essere all’altezza della sfida che ci si presenta davanti.