Il 4 aprile scorso si è tenuta l’udienza in Consiglio di Stato di una serie di ricorsi presentati da società concessionarie della rete di connessione degli apparecchi a vincita contro l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Gli operatori conoscono molto bene questo tema, noto come la Tassa di 500 milioni. La tassa in questione rappresenta un prelievo straordinario rispetto a quelli originariamente previsti ed è stato introdotto con la Legge di Stabilità 2015.
L’avvocato Federico Tedeschini è uno dei legali che ha curato alcuni dei ricorsi per le concessionarie.
Per Tedeschini i concessionari “sarebbero stati cioè trattati alla stregua di Bancomat, ai quali i gestori delle finanze pubbliche – attraverso un uso spregiudicato (almeno con riferimento agli obblighi europei che li riguardano) dei loro poteri concessori – avrebbero ritenuto di poter liberamente attingere per far quadrare i conti”.
La questione era stata già portata all’attenzione della Corte del Lussemburgo, al fine di conoscerne l’opinione rispetto alla compatibilità tra un simile prelievo e il diritto europeo, ma “quella Corte ha dato – come spesso accade – una risposta alquanto confusa e contraddittoria: che è sembrata perciò di scarso aiuto, sia rispetto all’accoglimento della richiesta avanzata dai concessionari stessi, sia rispetto a una sua reiezione, come ovviamente prospettata dall’Avvocatura Generale dello Stato, che difendeva l’Agenzia”, ricorda l’avvocato Tedeschini a proposito della pronuncia.
E in effetti l’Avvocato Generale sottolineò che la restrizione ai principi del Trattato sembra illegittima: “La Corte ha ripetutamente statuito che il solo obiettivo di incrementare al massimo gli introiti del pubblico erario non può consentire una restrizione della libera prestazione dei servizi”. Tuttavia, nel caso del gioco d’azzardo, la restrizione è legittima nel caso in cui “persegua effettivamente obiettivi relativi a motivi imperativi di interesse generale”. Spetta quindi al giudice nazionale identificare gli obiettivi effettivamente perseguiti da tale normativa nazionale.
E proprio su quella pronuncia l’avvocato focalizza l’attenzione rilevando “una importante decisione della Corte d’appello di Roma, Sezione Prima civile, del 13 marzo scorso che, sebbene riguardi altri temi, dovrà essere tenuta in conto dai giudici chiamati a decidere. Il Tribunale di Roma ha accolto la pretesa dell’appellante di vedere meglio precisato e ampliato il concetto giuridico di ”violazione manifesta del diritto comunitario” da parte di quei magistrati del Consiglio di Stato che avevano composto il Collegio autore di ulteriore sentenza (con diversità di oggetto), ove l’esistenza di tale ultima violazione era stata – al contrario – disconosciuta.
La “sentenza del 13 marzo potrebbe avere significative conseguenze a proposito di un miglior adeguamento della nostra giurisprudenza nazionale ad ogni precetto contenuto nei Trattati europei e nel diritto derivato, almeno rispetto a quanto verificatosi fino ad oggi nell’ambito della giustizia italiana”, sottolinea Tedeschini precisando che “oggetto della decisione civile era infatti “la responsabilità dello Stato giudice per manifesta violazione del diritto europeo“ e la conseguente richiesta di condanna al risarcimento dei danni patiti dall’appellante: decisione dunque che – per l’ampiezza del suo oggetto – non potrà che incidere anche su quella, in corso di adozione. Più precisamente, un pronunciamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) – che interpretasse la riscossione di un prelievo forzoso sui concessionari dei giochi a premi come una violazione manifesta della libertà di concorrenza sul mercato unico – potrebbe avere conseguenze significative anche sulla personale responsabilità dei magistrati (almeno quelli, di ultimo grado, chiamati a pronunciarsi su singole questioni) che non dovessero tener conto, nel loro decidere, dell’effettivo contenuto e significato delle disposizioni sovranazionali attualmente vigenti”.
La pronuncia del Consiglio di Stato sui ricorsi è attesa nelle prossime settimane.