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TAR Veneto annulla ordinanza orari sale gioco di Breganze (VI)

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, proposto da un operatore rappresentato e difeso dagli avvocati Cino Benelli e Generoso Bloise, contro Comune di Breganze e Regione Veneto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’ordinanza del Sindaco di Comune di Breganze avente ad oggetto “Disciplina comunale degli orari di esercizio delle sale giochi e degli orari di funzionamento degli apparecchi con vincita in denaro, in attuazione della L.R. n. 38 del 10.09.2019 “Norme sulla prevenzione e cura del disturbo da gioco d’azzardo patologico”.

La sentenza

“È opportuno premettere che la Regione Veneto ha adottato la l. r. 10 settembre 2019, n. 38, recante norme sulla prevenzione e sulla cura del disturbo da gioco d’azzardo patologico.

L’art. 8 di tale legge ha delegato alla Giunta regionale l’adozione del provvedimento per rendere omogenee sul territorio regionale le fasce orarie di interruzione quotidiana del gioco, nel rispetto di quanto previsto dall’Intesa e, quindi, fino ad un massimo di sei ore complessive giornaliere.

La Giunta, quindi, ha adottato, in data 30 dicembre 2019, la delibera n. 2006, stabilendo che gli orari di “interruzione del gioco” da porre in essere in modo omogeneo ed uniforme su tutto il territorio regionale per la prevenzione ed il contrasto della diffusione del gioco d’azzardo, come del fenomeno della dipendenza grave tra la popolazione, siano definiti come segue:

  • dalle ore 07:00 alle ore 09:00 (tale fascia espone maggiormente al rischio i minoried i giovani, le donne, i lavoratori, le persone inoccupate);
  • dalle ore 13:00 alle ore 15:00 (tale fascia espone maggiormente al rischio lepersone anziane, i lavoratori, le persone inoccupate ed i giovani);
  • dalle ore 18:00 alle ore 20:00 (tale fascia espone a rischio tutte le fasce dipopolazione).

Come indicato nella parte motiva della delibera, le tre fasce orarie diurne di limitazione temporale all’esercizio del gioco, denominate fasce di “interruzione del gioco”, sono state individuate in considerazione del fatto che, nelle fasce stesse, anche per i numeri e la qualità delle persone coinvolte (minori, anziani), è maggiore, per quantità e gravità, il rischio di manifestazione della dipendenza. Inoltre, l’uniformità dell’orario di interruzione consente altresì di precludere che tali soggetti, per soddisfare la loro inclinazione, possano essere indotti a giocare in un Comune limitrofo privo di una disciplina analoga.

La delibera regionale, d’altronde, precisa espressamente che ‹‹nelle predette fasce i Comuni non potranno consentire in alcun modo l’utilizzo delle apparecchiature di cui all’articolo 110, comma 6, del R.D. 773/1931 e ss.mm. I Comuni possono, invece, aggiungere alle predette fasce di interruzione anche ulteriori fasce orarie di chiusura, anche in relazione alla situazione locale››.

Ciò chiarito, e venendo al merito, i motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, in relazione ai profili di connessione e parziale sovrapposizione delle relative censure.

In primo luogo, è opportuno ribadire quanto espresso dall’intestato Tar con una serie di precedenti decisioni, tra le quali la sentenza Tar Veneto, sez. III, 01 gennaio 2023, n. 759: ‹‹È ormai consolidato l’orientamento giurisprudenziale, da ultimo richiamato nella sentenza di questo Tribunale n. 1317/2022, in cui “si osserva che la giurisprudenza amministrativa ha ormai univocamente riconosciuto alle amministrazioni comunali (e, nella specie, al Sindaco, in base all’art. 50, comma 7 del Tuel) il potere di disciplinare gli orari delle sale da gioco o di accensione e spegnimento degli apparecchi durante l’orario di apertura degli esercizi in cui i medesimi sono installati (ex multis Consiglio di Stato, sez. sez. V, 28 marzo 2018, n. 1933; id., 22 ottobre 2015, n. 4861; id., 1 agosto 2015, n. 3778); in particolare, è stato evidenziato che dal composito e complesso quadro giuridico che regola la materia, emerge non solo e non tanto la legittimazione, ma l’esistenza di un vero e proprio obbligo a porre in essere, da parte dell’amministrazione comunale, interventi limitativi nella regolamentazione delle attività di gioco, ispirati per un verso alla tutela della salute, che rischia di essere gravemente compromessa per i cittadini che siano giocatori e quindi clienti delle sale gioco, per altro verso al principio di precauzione, citato nell’art. 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), il cui campo di applicazione si estende anche alla politica dei consumatori, alla legislazione europea sugli alimenti, alla salute umana, animale e vegetale” (cfr., sul punto, la sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, 1 luglio 2019, n. 4509).

Ciò premesso, la regolamentazione regionale non ha modificato tale quadro normativo di riferimento, ma ha solo dettato degli orientamenti, fissando restrizioni minime e da applicarsi su tutto il territorio in un’ottica di maggiore efficienza dell’intervento regolatorio correlata al coordinamento, quantomeno nel minimo, degli orari di esercizio del gioco nei vari ambiti comunali. Dunque, se da un lato deve escludersi l’efficacia diretta della disciplina regionale in ambito locale, la giurisprudenza ha riconosciuto un dovere, prima che un diritto, in capo al Comune di intervenire per regolare in modo efficace l’orario in cui è possibile praticare il gioco lecito con apparecchi di intrattenimento di cui all’art. 110, comma 6 del T.U.L.P.S., coniugando tutela della salute dei cittadini con diritto all’esercizio di un’attività imprenditoriale lecita.

In tale ottica di bilanciamento dei contrapposti interessi, da un lato, non può ravvisarsi alcuna efficacia vincolante della DGR 2600/2019, in quanto, trattandosi di una materia (quella della salute) in cui la competenza legislativa della Regione è concorrente, il mancato recepimento da parte del Ministero dell’economia e delle Finanze, così come previsto dall’art. 1 comma 936, della Legge n. 208/2015 (cd. “Legge di Stabilità per l’anno 2016”), dell’Intesa raggiunta dalla Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 28 (che ha portato alla <Proposta di riordino dell’offerta del gioco lecito>) fa sì che, come accaduto nel caso di specie, le indicazioni fornite dalla Regione non possano che orientare, in un’ottica anche e prima di tutto di coordinamento, l’esercizio del potere comunale di limitare le ore di funzionamento degli apparecchi da gioco. (cfr., in tal senso, Consiglio di Stato, sez. V, 20 ottobre 2020, n. 6331).

Coerentemente, in altra decisione, è stato anche precisato (Tar Veneto, sez. III, 23 agosto 2021, n. 1016) che: ‹‹Innanzitutto, si ribadisce il carattere non cogente dell’Intesa raggiunta, in data 7 settembre 2017, in sede di Conferenza Unificata, come da giurisprudenza prevalente del Consiglio di Stato (Sez. V, sentt. nn. 4119, 4121, 4125, 5223, 5226, 6331 del 2020) e come già affermato anche da questo Tar (sentt. nn. 1209 e 620 del 2019; sent. n. 417 del 2018). 9.1. Come ribadito dal Consiglio di Stato (cfr., tra le altre, sent. n. 6331 del 2020), infatti, “…Per essere prevista quale atto prodromico all’esercizio del potere statale di coordinamento ed indirizzo con finalità di coinvolgimento delle Regioni, all’Intesa non può riconoscersi ex se, e senza che i suoi contenuti siano recepiti nel decreto ministeriale, alcuna efficacia cogente…”, inoltre, con riferimento allo specifico profilo inerente alla definizione delle fasce orarie di interruzione del gioco, “…rileva anche la seguente clausola: “Le disposizioni specifiche in materia, previste in ogni Regione o Provincia autonoma, se prevedono una tutela maggiore, continueranno comunque ad esplicare la loro efficacia…”, per cui, alla luce dei contenuti dell’Intesa, “è dunque corretto affermare che principio generale della materia è la previsione di limitazioni orarie come strumento di lotta al fenomeno della ludopatia“.

Va poi evidenziato, che la “Proposta di riordino dell’offerta del gioco lecito”, di cui all’Intesa raggiunta in sede di Conferenza Unificata, contempla un complessivo riordino della materia, prevedendo anche una significativa riduzione dell’offerta del gioco lecito, sia dei volumi che dei punti vendita, sicché risulterebbe arbitrario e contrario allo spirito dell’Intesa predicarne un’applicazione atomistica o parcellizzata e che vada nella direzione opposta a quella del contrasto al gioco d’azzardo patologico. E, del resto, va anche ricordato che l’art. 1, comma 936, della L. 28.12.2015 n. 208 (legge di stabilità 2016), ai sensi del quale è stata adottata l’Intesa, prevede proprio che la finalità sia quella “di garantire i migliori livelli di sicurezza per la tutela della salute, dell’ordine pubblico e della pubblica fede dei giocatori e di prevenire il rischio di accesso dei minori di età”.

Tanto premesso, non si può aderire neppure alla tesi della ricorrente secondo cui la legge regionale n. 38 del 2019, all’art. 8, avrebbe “legificato” il contenuto dell’Intesa del 7 settembre 2017, imponendo, in tutto il territorio della Regione Veneto, il limite massimo di interruzione del gioco in sei ore al giorno, secondo le fasce da individuare con delibera di Giunta e senza che i Comuni potessero individuare fasce ulteriori di interruzione dal gioco. Come già più volte evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa, infatti, nell’attuale quadro normativo nazionale ed europeo in materia, anche a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 220 del 2014, restano ferme le competenze degli Enti locali e dunque la facoltà degli stessi di porre in essere gli interventi necessari a garantire il corretto equilibrio tra la libertà di iniziativa economica ex art. 41 della Costituzione e la tutela della sicurezza, della salute, della libertà e dignità umana in ragione delle specifiche problematiche di ciascun territorio. La limitazione degli orari di apertura delle sale da gioco o scommessa e degli altri esercizi in cui sono installate apparecchiature per il gioco può, quindi, essere sempre disposta dal Comune per la tutela della salute pubblica ed il benessere socio-economico dei cittadini ai sensi dell’art. 50, comma 7, del Dlgs n. 267/2000, allo scopo di prevenire, contrastare e ridurre il fenomeno del gioco d’azzardo patologico (GAP) (ex plurimis, Corte Cost . sent. n. 220 del 2014, Cons. di Stato, sent. 4794/15, Tar Veneto, sent. n. 662 del 2017, 841 del 2017, 417 del 2018, 1209 del 2019, Tar Lazio, Roma, sent. n. 2554 del 2019 e 2556 del 2019; Cons. di Stato, sent. n. 4867 del 2018 e 4509 del 2019). Anzi, la giurisprudenza si è espressa nel senso che, in capo ai Comuni, sussiste non solo il potere, ma anche un vero e proprio obbligo di adottare interventi limitativi nella regolamentazione delle attività di gioco, dettato da esigenze di tutela della salute pubblica (cfr. Cons. Stato, sent. n. 4509 del 2019 cit., secondo cui dal composito e complesso quadro giuridico che regola la materia emerge “non solo e non tanto la legittimazione, ma l’esistenza di un vero e proprio obbligo a porre in essere, da parte dell’amministrazione comunale, interventi limitativi nella regolamentazione delle attività di gioco, ispirati per un verso alla tutela della salute, che rischia di essere gravemente compromessa per i cittadini che siano giocatori e quindi clienti delle sale gioco, per altro verso al principio di precauzione, citato nell’art. 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), il cui campo di applicazione si estende anche alla politica dei consumatori, alla legislazione europea sugli alimenti, alla salute umana, animale e vegetale. L’assioma fondamentale di tale ultimo principio è che nell’ipotesi di un rischio potenziale, laddove vi sia un’identificazione degli effetti potenzialmente negativi di un’attività e vi sia stata una valutazione dei dati scientifici disponibili, è d’obbligo predisporre tutte le misure per minimizzare (o azzerare, ove possibile) il rischio preso in considerazione, pur sempre nel rispetto del principio di proporzionalità e di contemperamento degli interessi coinvolti…”; in tal senso cfr. anche Cons. Stato, sent. n. 4867 del 2018).

E, in diverse pronunce, la giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto la legittimità di limitazioni orarie al funzionamento degli apparecchi di gioco da parte dei Comuni ben superiori a quello che, invece, la ricorrente individua come limite massimo e parametro di ragionevolezza sulla base dell’Intesa (cfr., tra le altre, Cons. di Stato sent. n. 4509 del 2019 e i precedenti ivi richiamati; sent. n. 3382 del 2018; sent. n. 6331 del 2020; Tar Milano, sent. n. 716 del 2019).

Il testo dell’art. 8 della legge della regione Veneto n. 38 del 2019, quindi, nella parte in cui fa riferimento all’Intesa, non può essere interpretato nel senso di aver comportato l’assunzione a rango di norma regionale delle indicazioni programmatiche dell’Intesa, se non sotto il profilo della riconosciuta esigenza di coordinamento, ma sempre nel rispetto del principio di leale cooperazione e sussidiarietà e nel rispetto delle prerogative proprie dei Comuni. Secondo una interpretazione costituzionalmente orientata della legge regionale n. 38 del 2019, infatti, non può ritenersi che in forza di un generico richiamo all’Intesa, contenuto all’art. 8, la Regione abbia inteso “avocare” a sé un potere che, come ricordato dalla Corte costituzionale n. 220 del 2014, è attribuito ai Comuni in forza della previsione dell’art. 50, comma 7 del TUEL. E, ancora, la stessa legge regionale n. 38 del 2019 “Norme sulla prevenzione e cura del disturbo da gioco d’azzardo patologico”, all’art. 1 “Finalità” precisa che “1. La Regione del Veneto, nell’ambito delle proprie competenze in materia di tutela della salute e di politiche sociali, promuove interventi finalizzati alla prevenzione, al contrasto e alla riduzione dei rischi da gioco d’azzardo e delle problematiche azzardo-correlate, nonché al trattamento e al recupero delle persone che ne sono dipendenti e al supporto delle loro famiglie. 2. La Regione tutela le fasce più deboli e maggiormente vulnerabili della popolazione e disciplina l’impatto delle attività connesse all’esercizio del gioco d’azzardo sulla sicurezza e decoro urbano, sulla viabilità, sulla quiete pubblica e sull’inquinamento acustico…..”; per cui, a maggior ragione, l’art. 8 della medesima legge non può essere inteso, invece, come impositivo di un limite che violerebbe le prerogative dei Comuni e che andrebbe nella direzione opposta a quella delle finalità di tutela enunciate dalla stessa legge regionale.

Va ribadito, inoltre, che è la stessa Intesa, richiamata dalla legge regionale, a prevedere la possibilità di mantenere le misure locali più restrittive (cfr. punto 5 dell’Intesa “accentuare l’azione preventiva e di contrasto al gioco di azzardo patologico” dove si prevede che “…Le disposizioni specifiche in materia, previste in ogni Regione o Provincia autonoma, se prevedono una tutela maggiore, continueranno comunque ad esplicare la loro efficacia.”) e che, come sottolineato anche dal Consiglio di Stato nelle pronunce sopra richiamate, alla luce dei contenuti dell’Intesa, “è dunque corretto affermare che principio generale della materia è la previsione di limitazioni orarie come strumento di lotta al fenomeno della ludopatia”.9.3. Né può essere invocata a sostegno della dedotta illegittimità della delibera di giunta regionale e dell’atto comunale impugnato la possibile disparità di trattamento rispetto a discipline eventualmente più favorevoli (per i gestori) da parte di altri Comuni, in quanto, come già sopra evidenziato, i singoli Comuni mantengono ed esercitano le loro prerogative di tutela con riferimento al territorio di loro pertinenza e alle specifiche realtà locali (cfr. Tar Veneto, sent. n. 620 del 2019). 9.4. Per tutto quanto sopra, pertanto, si deve ritenere che legittimamente la Giunta regionale, in attuazione dell’art. 8 della legge regionale n. 38 del 2019, con la delibera n. 2006 del 30 dicembre 2019 ha stabilito, quale strumento minimo di tutela valido per tutto il territorio regionale (avendo ritenuto che fossero quelle di maggior rischio), tre fasce di interruzione del gioco, per un totale di 6 ore di interruzione, da porre in essere in modo omogeneo ed uniforme su tutto il territorio regionale (dalle ore 07:00 alle ore 09:00;dalle ore 13:00 alle ore 15:00;dalle ore 18:00 alle ore 20:00), precisando, però, che ” I Comuni possono, invece, aggiungere alle predette fasce di interruzione anche ulteriori fasce orarie di chiusura, anche in relazione alla situazione locale”, e specificando che “La “interruzione del gioco”, per tutti gli apparecchi per il gioco di cui all’articolo 110, comma 6, del R.D. 773/1931 e ss.mm, è una azione di rinforzo delle norme regolamentari e/o delle ordinanze in materia di orari approvate dagli Enti Locali”, e ciò nel rispetto delle prerogative proprie dei Comuni, come riconosciute anche dalla Corte Costituzionale, e delle esigenze di tutela delle specifiche realtà locali….9.6. Né il limite delle sei ore giornaliere di interruzione dal gioco previsto nell’Intesa può essere considerato, come invece vorrebbe la ricorrente, quale necessario parametro di legittimità, anche in termini di ragionevolezza e proporzionalità delle limitazioni orarie imposte al gioco lecito, tenuto conto di tutto quanto già sopra esposto in riferimento al valore non cogente dell’Intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata e alla portata del richiamo alla stessa operato dall’art. 8 della legge regionale n. 38 del 2019, e tenuto conto di quanto già affermato dalla giurisprudenza sopra citata in merito al potere dei Comuni di imporre limitazioni orarie al funzionamento degli apparecchi per il gioco lecito››.

Ne consegue, con riferimento ai motivi di ricorso, che: a) l’Intesa raggiunta in sede di Conferenza Unificata non ha efficacia vincolante, né sotto il profilo delle fasce orarie di chiusura, né con riferimento al modulo procedimentale da seguire per regolamentare la materia; b) il suo contenuto non è stato “legificato” e reso vincolante dalla legge regionale n. 38 del 2019, per cui la stessa non può essere assunta quale parametro di legittimità dei provvedimenti assunti dagli Enti Locali, nell’esercizio delle proprie competenze in materia, ai sensi dell’art. 50, comma 7, del D.Lgs. n. 267 del 2000; c) la delibera n. 2006 del 2019 della Giunta Regionale non può comunque essere ritenuta in contrasto con la l. r. Veneto n. 38 del 2019, laddove prevede che “I Comuni possono, invece, aggiungere alle predette fasce di interruzione anche ulteriori fasce orarie di chiusura, anche in relazione alla situazione locale”; d) la delibera è stata adottata dalla Giunta regionale all’esito di una adeguata istruttoria, basata sulla convocazione di un apposito tavolo tecnico (come si evince dal testo della stessa delibera) e pervenendo ad una regolamentazione da ritenere rispettosa del principio di proporzionalità rispetto agli obiettivi perseguiti (prevenzione, contrasto e riduzione del gioco d’azzardo patologico), realizzando un ragionevole contemperamento degli interessi economici degli imprenditori del settore con l’interesse pubblico a prevenire e contrastare fenomeni di patologia sociale connessi al gioco compulsivo, non essendo revocabile in dubbio che un’illimitata o incontrollata possibilità di accesso al gioco accresce il rischio di diffusione di fenomeni di dipendenza, con conseguenze pregiudizievoli sia sulla vita personale e familiare dei cittadini, che a carico del servizio sanitario e dei servizi sociali, chiamati a contrastare patologie e situazioni di disagio connesse alle ludopatie; e) la previsione di specifiche fasce orarie e non di meri criteri direttivi, come la Giunta avrebbe dovuto fare secondo la ricorrente, è del tutto coerente con lo scopo perseguito di una regolamentazione omogenea sul territorio nazionale.

Fermo quanto precede con riferimento alla legittimità della DGR n. 2006/2019, in disparte la considerazione che nell’attuale momento storico la diffusione del fenomeno della ludopatia in ampie fasce della società civile costituisce un fatto notorio o, comunque, una nozione di fatto di comune esperienza, come attestano le numerose iniziative di contrasto assunte dalle autorità pubbliche a livello europeo, nazionale e regionale, l’ordinanza comunale impugnata, invece, non è sorretta da una adeguata istruttoria.

In particolare, il Collegio osserva che il Sindaco di Breganze ha legittimamente ritenuto di poter ampliare le fasce orarie di interruzione del gioco, aggiungendo i limiti previsti dalla DGR a quelli già vigenti nel territorio comunale. Tuttavia, tale decisione non è adeguatamente sorretta dal complessivo apparato motivazionale dell’ordinanza, tenuto conto che l’unico elemento significativo è rappresentato dalla relazione dell’ULSS n. 7 Pedemontana che indica dati sul fenomeno della ludopatia nel distretto di riferimento, ma senza una specifica analisi sul territorio del Comune di Breganze. Se certamente è vero che la lotta al fenomeno della ludopatia deve essere condotta dalle Amministrazioni pubbliche senza limitarsi a considerare la situazione del proprio Comune, isolatamente considerato, è altresì vero che l’esercizio del potere di ordinanza non può prescindere da una preliminare valutazione delle peculiarità locali di cui deve essere data adeguata evidenza a supporto della decisione assunta, considerati gli effetti diretti prodotti dalla regolamentazione adottata sugli operatori del settore.

In questa prospettiva, l’ordinanza del Sindaco di Breganze deve essere annullata, rimanendo assorbito ogni ulteriore motivo di impugnazione rispetto ai quali, per effetto della presente decisione, la ricorrente non ha interesse al loro accoglimento. Le spese di lite devono essere compensate tra le parti considerato l’esito della lite e la complessità della vicenda trattata”.

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