La Corte di Cassazione, Seconda Sezione Civile, ha confermato la sanzione contestata dall’Amministrazione dei Monopoli di Stato al titolare di un bar all’interno del quale furono rinvenuti quattro apparecchi da divertimento, regolarmente accesi e collegati alla rete elettrica, non rispondenti alle caratteristiche previste dall’art. 110, comma 7, lettera c) del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.
Il ricorso presentato dall’esercente per l’annullamento della pronuncia della Corte d’appello si fondava su diversi motivi di denuncia. Nel primo caso “violazione e falsa applicazione dell’art. 110 TULPS, in relazione all’art. 6, comma 11 del d.lgs. 150/2011, nonché degli artt. 2697 e 2700 c.c., 115 e 116 c.p.c., del decreto direttoriale 133/2005, travisamento dei fatti, falsa applicazione della legge, insufficienza dell’accertamento”: la sentenza impugnata, a dire del ricorrente, avrebbe attribuito erroneamente fede privilegiata a fatti non accertati, semplicemente considerando la “semplice valutazione successiva dell’illecito dai verbalizzanti”, in tal modo non solo violando le disposizioni di legge dell’art. 110 TULPS, ma anche ritenendo, contro le evidenze emerse nel processo, assolto l’onere della prova a carico dell’amministrazione; come dedotto in primo grado e in appello l’accertamento della Polizia di Stato era infatti insufficiente e contraddittorio”.
Il motivo è infondato.
Il ricorrente, che pure richiama il parametro di cui al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., contesta in sostanza la valutazione degli elementi di prova posta in essere dal giudice di merito, valutazione che l’ha portato a ritenere dimostrata l’illiceità degli apparecchi; tale valutazione, compresa quella degli errori nell’indicazione della denominazione degli apparecchi e dei giochi installati e del malfunzionamento degli apparecchi al momento dello svolgimento della consulenza tecnica d’ufficio, spetta al giudice di merito e non è censurabile da parte della Corte di legittimità. Non sussiste poi la denunciata violazione della regola dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., in quanto il giudice di merito ha appunto ritenuto raggiunta la prova dell’illiceità degli apparecchi e non ha esonerato l’amministrazione dalla relativa prova.
Il secondo motivo contesta “violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge 689/1981 in relazione all’art. 110 TULPS, comma 9, lettera c), al decreto direttoriale 133/2005, art. 110, comma 9, lettera a)”: dal decreto direttoriale n. 133/2005 emerge in modo incontestabile che le regole tecniche in esso contenute sono previste esclusivamente per la produzione e hanno come destinatari esclusivamente i produttori e gli importatori, che sono i responsabili esclusivi della non conformità dei giochi.
Il motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi della pronuncia impugnata (si vedano al riguardo, tra tante, Cass. n. 19989/2017 e Cass. n. 8247/2024, che appunto dichiarano l’inammissibilità del motivo che non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata). La Corte d’appello, nel respingere l’analoga censura ad essa proposta, ha osservato che il citato decreto direttoriale contribuisce a specificare, relativamente agli apparecchi di cui all’art. 110, comma 7 TULPS, le relative caratteristiche tecniche e le modalità di funzionamento, così contribuendo a dettagliare ulteriormente ciò che è già previsto e sanzionato dalla normativa primaria, ossia dall’art. 110, comma 9, lettera c) TULS, che sanziona “chiunque sul territorio nazionale distribuisce o installa o comunque consente l’uso in luoghi pubblici o aperti al pubblico o in circoli e associazioni di qualunque specie di apparecchi o congegni non rispondenti alle caratteristiche e alle prescrizioni indicate nei commi 6 e 7 e nelle disposizioni di legge e amministrative attuative di detti commi”.
Il terzo motivo fa valere “violazione e falsa applicazione dell’art. 110 TULPS in relazione agli artt. 1 e 6 della legge 689/1981”: è stata irrogata al ricorrente la sanzione in via concorrenziale anziché solidale sulla base di una interpretazione estensiva e scorretta dell’art. 110, comma 9, lettera c) TULPS; l’utilizzo da parte del legislatore della congiunzione ‘o’ indicherebbe “letteralmente una alternativa, cioè che un solo soggetto, individuato nelle categorie indicate, può ritenersi autore della violazione”.
Il motivo è infondato. La lettera dell’art. 110, comma 9, lettera c) TULPS, che si è sopra riportata, è infatti chiara nel sanzionare in modo autonomo la condotta di chi distribuisce, di chi installa e di chi consente l’uso degli apparecchi non rispondenti alle caratteristiche e prescrizioni imposte (v. Cass. n. 21637/2010 e Cass. n. 102/2016). Come ha sottolineato la Corte d’appello, nella fattispecie in esame non ricorre alcuna ipotesi di solidarietà, dal momento che la formulazione volutamente ampia della norma mira a sanzionare tutte le condotte di distribuzione, installazione e consenso all’utilizzo degli apparecchi illeciti da chiunque posta in essere, il che significa che soggiacciono alla sanzione disposta per la violazione amministrativa autonomamente tutti gli autori dell’infrazione. Dato che sia il ricorrente, che ha distribuito gli apparecchi, che il titolare dell’esercizio, che ne ha consentito l’uso, hanno posto in essere la condotta sanzionata dalla norma e sono pertanto autori delle violazioni contestate, sono autonomamente chiamati a rispondere dell’illecito addebitato soggiacendo alla relativa sanzione.”