(Jamma) “Il Comune di Cles dimostra di essere conscio delle problematiche indotte dalla proliferazione del gioco d’azzardo e di voler introdurre misure di contenimento del fenomeno “dando attuazione alle previsioni di parziale inibizione e/o limitazione in materia di collocazione delle sale giochi nonché di apparecchiature da gioco ex art. 110, commi 6 e 7”, escluse le sale giochi senza detti apparecchi perché svolgono esclusivamente “funzione ludico-ricreativa”. Con queste parole i giudici della prima sezione del Tar Trento hanno respinto il ricorso di una sala Vlt che si era vista negare la licenza dal comune.
Ad esser stata negata non solo la licenza ma anche la relativa concessione edilizia “in quanto – riporta il comune – i lavori riguardano una porzione di edificio in cui è insediato il Centro Formazione Professionale- Università Popolare Trentina. Pertanto l’attività non è ammessa, ai sensi del regolamento comunale in materia di installazione di apparecchi da gioco approvato con delibera del consiglio comunale n. 7 del 30.01.2012”.
Si sono costituiti in giudizio il Comune e la Provincia di Trento per difendere il provvedimento e la legge che lo sorregge dalle censure recate nel ricorso.
I giudici hanno chiarito nella sentenza che “nessuno dei profili di incostituzionalità sollevati in ricorso appare fondato… L’art. 13 bis della L.P. Trento 14-7-2000, n. 9, recante la disciplina dell’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande e dell’attività alberghiera, recentemente aggiunto dall’art. 47, comma 6, della L.P. finanziaria 27 dicembre 2011, n. 18, ha dettato specifiche disposizioni in materia di apparecchi da gioco come individuati dall’articolo 110, commi 6 e 7, del regio decreto n. 773 del 1931 (TULPS), al dichiarato fine di “ tutelare determinate categorie di persone maggiormente vulnerabili e per prevenire la dipendenza dal gioco “ dei cittadini. A tale scopo, i comuni sono stati autorizzati ad adottare provvedimenti limitativi della possibilità di collocazione di tali apparecchi in un raggio non inferiore a trecento metri da “ luoghi sensibili “ (comma 1).
La parte più significativa di questi luoghi è stata individuata direttamente dal legislatore provinciale, seppure in maniera non esaustiva (“in particolare”, dice la legge), in tre tipologie: a) tutti gli istituti scolastici o formativi; b) i centri giovanili o gli altri istituti frequentati principalmente dai giovani, previsti o finanziati ai sensi della legge provinciale 14 febbraio 2007, n. 5 (legge provinciale sui giovani); c) strutture residenziali o semiresidenziali sanitarie, scolastiche o socio-assistenziali. Il comma 3 dello stesso articolo 13 bis prescrive, ulteriormente, che i predetti limiti (e conseguenti divieti) si applicano ai “nuovi apparecchi da gioco”, con espressa esclusione di quelli già collocati prima della data stabilita dai comuni, ai quali lo stesso comma 3 affida, poi, anche il compito del “monitoraggio del numero e della tipologia degli apparecchi da gioco presenti” nei rispettivi territori, all’ulteriore, futuro fine della loro “progressiva rimozione a seguito del divieto di collocazione”.
“Legge statale e legge provinciale – continuano – non sono tra loro in conflitto né si elidono, ma anzi concorrono, ciascuna nel proprio ambito e secondo opzioni temporali e metodologiche differenziate ma in reciproca sintonia , al perseguimento dello stesso obiettivo, costituito da una materia (salute) su cui la Provincia di Trento esercita competenza legislativa concorrente , con il solo limite del “rispetto dei principi fondamentali” stabiliti dalle leggi dello Stato, come indicato all’art. 117, terzo comma, della Costituzione; principi i quali a loro volta e per converso si pongono come limiti all’intervento legislativo statale nei confronti delle Regioni e Province Autonome.
Ebbene, uno dei principi fondamentali del sopravvenuto decreto Balduzzi è sicuramente rappresentato proprio da quello che si può definire di “ prevenzione logistica “, per cui tra i locali ove sono installati gli apparecchi da gioco e determinati luoghi di aggregazione e/o permanenza di fasce vulnerabili della popolazione debba intercorrere una distanza minima, ritenuta plausibilmente e ragionevolmente idonea ad arginare, sotto il profilo della “vicinitas”, i richiami e le suggestioni di un facile ed immediato arricchimento mediante macchinette “ mangia soldi “.
Da quanto esposto consegue, dunque, che:
– le due discipline in esame, quella sopravvenuta statale e quella precedente provinciale coesistono nell’ordinamento e operano, seppure con procedimenti soggettivamente ed oggettivamente non coincidenti, nel perseguimento degli stessi obiettivi fondamentali in tema di tutela della salute;
– l’intervento statale e la disciplina provinciale sono reciprocamente coerenti rispetto all’obiettivo da perseguire mediante strumenti con analoghe finalità e tecniche di prevenzione;
– non vi può, pertanto, essere alcuna pretesa di disapplicazione o abrogazione implicita della normativa provinciale da parte di quella statale per asseriti contrasti della prima con la seconda, la quale, anzi, per taluni aspetti è assai più severa di quella provinciale: ad esempio, espressamente collocando tra i luoghi sensibili anche quelli di culto e genericamente ricreativi”.
Sulla compatibilità della norma provinciale all’ordinamento comunitario, e in particolare sulla violazione degli speciali principi di concorrenza e trasparenza relativa alle procedure d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione, i giudici hanno chiarito “che l’Amministrazione provinciale non era tenuta a comunicare preventivamente alla Commissione europea l’intenzione di introdurre nel proprio ordinamento le disposizioni limitative di cui al più volte citato art. 13 bis, non rientrando esse nell’ambito di applicazione della Direttiva 98/34/CE del 22 giugno 1998”.