La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Calabria ha rigettato l’appello presentato dall’Agenzia delle Entrate , confermando così la sentenza di primo grado che aveva annullato gli avvisi di accertamento notificati a un contribuente per l’anno d’imposta 2015.
L’Agenzia aveva emesso accertamenti per un ammontare complessivo di oltre 3,1 milioni di euro, comprensivi di imposte, sanzioni e interessi. La pretesa si basava su una verifica condotta dalla Guardia di Finanza, che aveva evidenziato una presunta attività di raccolta illegale di scommesse gestita da una società maltese attraverso una rete di Centri Trasmissione Dati (CTD) e Punti Vendita Ricarica (PVR) sul territorio italiano. Il contribuente era stato identificato come uno dei “master“, ovvero responsabile della gestione di alcune di queste reti territoriali, percependo una commissione del 5% sulla raccolta totale operata dai CTD e PVR.
L’appello dell’Agenzia delle Entrate si fondava sulla presunta legittimità della motivazione “per relationem” degli avvisi di accertamento, ossia basata sul richiamo al processo verbale di constatazione redatto nei confronti della società maltese. Tuttavia, i giudici di secondo grado hanno ritenuto che tale motivazione fosse carente, poiché il verbale richiamato non era stato notificato al contribuente né risultava già noto a quest’ultimo.
La Corte ha sottolineato che, sebbene la motivazione “per relationem” non sia di per sé illegittima, essa presuppone che gli atti richiamati siano stati notificati al contribuente o siano comunque a lui accessibili. Nel caso in esame, il contribuente non aveva avuto previa conoscenza degli atti relativi alla società maltese, determinando così un vulnus nel diritto di difesa. Inoltre, i giudici hanno rilevato incongruenze nei dati contabili e reddituali riportati nell’avviso di accertamento, evidenziando che non erano coerenti con quelli contenuti nella documentazione allegata dall’Agenzia, inclusa una proposta di misura di prevenzione patrimoniale e personale riferita al contribuente.
Secondo il Collegio, l’Ufficio non ha adeguatamente provato le basi della propria pretesa, mancando una chiara e autonoma valutazione degli elementi raccolti dalla Guardia di Finanza. Pertanto, la Corte ha confermato l’annullamento degli avvisi di accertamento e ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle Entrate.
La sentenza rappresenta un’importante affermazione dei principi di trasparenza e motivazione negli atti impositivi, riaffermando che il contribuente deve essere messo in condizione di conoscere e contestare gli elementi alla base della pretesa tributaria. La decisione non ha previsto alcuna condanna alle spese, in quanto il contribuente non si era costituito in appello. nb