La Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha respinto il ricorso del titolare di un esercizio pubblico di Schio, VI, contro la pronuncia del Tar Veneto sugli orari imposti al funzionamento delle slot come da normativa regionale.
“Il Collegio – si legge- nella sentenza- condivide l’assunto di fondo della sentenza del primo Giudice, secondo cui la legge della Regione Veneto qui contestata non ha modificato, in modo significativo e innovativo, il quadro normativo di riferimento nel quale si è formata la più recente giurisprudenza amministrativa, anche di questa Sezione, secondo cui spetta ai singoli Comuni, alla luce della situazione locale che forma oggetto del loro governo, la regolazione oraria degli apparecchi da gioco lecito, al fine di prevenire danni per la salute dei cittadini e nell’ottica del necessario contemperamento con le esigenze della libertà individuale di impresa. Il legislatore regionale, conformemente alla propria potestà legislativa concorrente nella materia della tutela della salute, si è infatti limitato a dettare degli orientamenti che mirano a fissare restrizioni minime delle fasce orarie, tali da fungere da metro di riferimento per l’intero territorio regionale, ferma restando la competenza regolatoria finale dell’ente più prossimo alle esigenze oggetto di protezione che, come visto, trova fondamento normativo nella generale previsione dell’art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000”.
Di seguito il testo integrale della pronuncia:
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 39 del 2024, proposto da
XXXXXX, rappresentata e difesa dagli avvocati Matilde Tariciotti, Luca Giacobbe, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Schio, non costituito in giudizio;
Regione Veneto, rappresentata e difesa dagli avvocati Chiara Drago, Luisa Londei, Giacomo Quarneti, Cristina Zampieri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Andrea Manzi in Roma, via Alberico II, n. 33;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Terza) n. 00759/2023, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Veneto;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 giugno 2024 il Cons. Antonino Masaracchia e uditi per le parti gli avvocati Tariciotti e Drago;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Con la sentenza in questa sede impugnata, meglio individuata in epigrafe, il TAR Veneto ha respinto il ricorso dell’odierna appellante contro l’ordinanza del Sindaco del Comune di Schio (VI) che, in data 30 dicembre 2019, ha dettato la disciplina degli orari di disattivazione degli apparecchi per il gioco lecito (come individuati dall’art. 110, comma 6, del r.d. n. 1773 del 1931).
L’appellante, che gestisce un bar in XXXX, ha censurato dinnanzi al TAR i limiti temporali di utilizzo degli apparecchi da gioco, in quanto più stringenti di quelli che sono previsti dalla d.G.R. n. 2006 del 30 dicembre 2019. Ancora più a monte, tali limiti sono ritenuti in contrasto con le previsioni dell’art. 8 della legge della Regione Veneto n. 38 del 2019 (che è stata attuata, appunto, dalla richiamata d.G.R.) e con quanto era stato stabilito in sede di Intesa in Conferenza unificata del 7 settembre 2017 (a sua volta richiamata dal legislatore nazionale all’art. 1, comma 936, della legge n. 208 del 2015).
Le censure così argomentate, tuttavia, sono state rigettate dal TAR e sono quindi riproposte con l’atto di appello oggi in decisione, affidato a tre motivi in diritto.
2. – Nel presente giudizio si è costituita, in resistenza, la Regione Veneto, in persona del proprio rappresentante legale pro tempore, che – con memoria depositata il 24 maggio 2024 – ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità dell’appello, come proposto nei confronti di essa Regione. Nel merito, ha comunque argomentato la non fondatezza delle censure di parte appellante.
Il Comune di Schio, pur regolarmente chiamato, non si è invece costituito nel presente giudizio.
Parte appellante, con memoria depositata il 6 giugno 2024, ha replicato alle deduzioni difensive della Regione Veneto, insistendo per la riforma della sentenza appellata.
Alla pubblica udienza del 27 giugno 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
3. – L’appello non è fondato nel merito, ciò che consente di prescindere dalla trattazione dell’eccezione di inammissibilità formulata dalla Regione Veneto.
3.1. – Possono essere trattati congiuntamente i primi due motivi di appello, incentrati – il primo – sulla ritenuta erroneità della tesi, sostenuta dal TAR, secondo cui le limitazioni orarie prescritte dalla legge regionale n. 38 del 2019 e dalla d.G.R. n. 2006 del 2019 sarebbero derogabili in peius dai singoli Comuni e – il secondo – sull’illegittimità che affliggerebbe la stessa d.G.R. n. 2006 del 2019 qualora interpretata, per l’appunto, nel senso anzidetto.
Entrambi i profili di censura non convincono, alla luce di un duplice argomento.
Anzitutto, occorre considerare che, all’atto dell’adozione dell’ordinanza sindacale impugnata, recante la data del 30 dicembre 2019, la d.G.R. n. 2006 del 2019 non era ancora entrata in vigore. In quel momento tale delibera formava oggetto di una mera proposta, che successivamente è confluita nell’approvazione definitiva da parte della Giunta regionale. La delibera, invero, pur adottata lo stesso giorno dell’ordinanza del Sindaco di Schio, risulta pubblicata sul Bollettino regionale solo successivamente, ossia in data 10 gennaio 2020, e non reca alcuna clausola di immediata efficacia. Pertanto, non essendo in vigore il parametro che – sulla base degli argomenti mossi dall’appellante – individuava i limiti massimi di spegnimento degli apparecchi da gioco, la fissazione di limiti ancor più stringenti, da parte del Sindaco del Comune di Schio, non va incontro a vizi di illegittimità legati all’adozione di un atto generale in quel momento non ancora vigente né tantomeno efficace.
In secondo luogo, occorre considerare che la mancata entrata in vigore della d.G.R., al momento dell’adozione dell’atto sindacale sub iudice, rendeva parimenti non applicabile la previsione dell’art. 8, comma 1, della legge regionale n. 38 del 2019, che demanda, per l’appunto, alla Giunta regionale la fissazione delle fasce orarie conformemente alle indicazioni provenienti dall’Intesa in sede di Conferenza unificata del 7 settembre 2017. Neanche quest’ultima, dunque, in mancanza del necessario atto applicativo, poteva in quel momento considerarsi alla stregua di fonte immediatamente applicabile da parte dell’ente civico nella regolazione degli orari di accensione/ spegnimento degli apparecchi da gioco lecito.
In ogni caso, anche a voler prescindere da quanto appena rilevato, occorre focalizzare l’attenzione su una previsione, inserita nella medesima d.G.R. n. 2006 del 2019, che assume portata dirimente in ordine alle contestazioni mosse sin dal primo grado del presente giudizio. Si tratta della clausola che, con riguardo alle fasce orarie subito prima indicate dalla medesima d.G.R., fa divieto ai Comuni di derogarvi mediante la previsione della possibilità di accensione degli apparecchi ma, allo stesso tempo, aggiunge quanto di seguito: “I Comuni possono, invece, aggiungere alle predette fasce di interruzione anche ulteriori fasce orarie di chiusura, anche in relazione alla situazione locale”. Di conseguenza, anche a voler ritenere applicabile la d.G.R. in questione all’odierna fattispecie, ben avrebbe potuto il Comune di Schio fissare limiti più stringenti di quelli individuati dalla Giunta regionale, per espressa autorizzazione di quest’ultima.
Sulla base di quanto precede, anche il profilo di censura che, nell’ambito del primo motivo, l’appellante argomenta a partire dalla previsione dell’art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000 non è condivisibile. Come è noto, tale norma stabilisce che il Sindaco coordina e riorganizza gli orari degli esercizi commerciali “sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell’ambito dei criteri eventualmente indicati dalla regione”: prescrizione nella specie rispettata dal Sindaco del Comune di Schio, posto che – come visto – è la stessa disciplina regionale a consentire al Comune di prevedere limiti più stringenti di quelli indicati in sede regionale stessa.
Ad ulteriore conferma di quanto argomentato dal TAR non può, poi, non essere richiamata la giurisprudenza di questa Sezione che afferma l’ormai acquisita non vigenza dell’Intesa del 2017, non essendo essa mai stata recepita da alcun decreto del Ministero delle finanze, come era stato previsto dall’art. 1, comma 936, della legge n. 208 del 2015. In proposito, la recente sentenza della Sezione n. 6331 del 2020 ha ribadito l’ancor più risalente, e costante, orientamento secondo cui “Le disposizioni specifiche in materia, previste in ogni Regione o Provincia autonoma, se prevedono una tutela maggiore, continueranno comunque ad esplicare la loro efficacia” (sentenza n. 4119 del 2020, sempre di questa Sezione).
Né è condivisibile la censura, di cui alla parte finale del primo motivo di appello, secondo cui l’ordinanza del Sindaco di Schio non avrebbe svolto un’adeguata istruttoria sulla situazione locale, dalla quale poter desumere la necessità di limiti più stringenti per il funzionamento degli apparecchi da gioco. L’assunto è invero smentito da quanto si legge nell’ordinanza sindacale, in cui è richiamato un rapporto della ULSS n. 7 Pedemontana, in merito alla diffusione della ludopatia, oltre all’indirizzo espresso dai Sindaci del “Distretto Alto Vicentino” del 2 dicembre 2019: documenti, questi, che testimoniano, quantomeno, l’avvio di un’indagine sul territorio.
3.2. – Per le stesse ragioni fin qui esposte, va dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale che l’appellante reitera con l’ultimo motivo di censura, sulla scorta – peraltro – di quanto parimenti osservato in primo grado dal TAR.
La disciplina introdotta dall’art. 8 della legge della Regione Veneto n. 38 del 2019, nella parte in cui demanda alla Giunta regionale la fissazione delle fasce orarie di interruzione quotidiana del gioco, non appare affatto contraddittoria qualora interpretata nel senso – fatto proprio dalla decisione del TAR e confermato dalla presente pronuncia – che i singoli Comuni possono stabilire restrizioni in peius rispetto a quelle derivanti dalle previsioni regionali. La paventata conseguente disomogeneità, sul territorio regionale, delle fasce orarie è, in verità, meramente apparente, dovendo essere considerata anche l’esigenza di adeguare quelle fasce orarie alle situazioni locali, ovviamente entro ragionevoli limiti che non conducano ad un totale sovvertimento delle indicazioni regionali.
In tale prospettiva, il Collegio condivide l’assunto di fondo della sentenza del primo Giudice, secondo cui la legge della Regione Veneto qui contestata non ha modificato, in modo significativo e innovativo, il quadro normativo di riferimento nel quale si è formata la più recente giurisprudenza amministrativa, anche di questa Sezione, secondo cui spetta ai singoli Comuni, alla luce della situazione locale che forma oggetto del loro governo, la regolazione oraria degli apparecchi da gioco lecito, al fine di prevenire danni per la salute dei cittadini e nell’ottica del necessario contemperamento con le esigenze della libertà individuale di impresa. Il legislatore regionale, conformemente alla propria potestà legislativa concorrente nella materia della tutela della salute, si è infatti limitato a dettare degli orientamenti che mirano a fissare restrizioni minime delle fasce orarie, tali da fungere da metro di riferimento per l’intero territorio regionale, ferma restando la competenza regolatoria finale dell’ente più prossimo alle esigenze oggetto di protezione che, come visto, trova fondamento normativo nella generale previsione dell’art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000.
4. – In definitiva, l’appello è integralmente da respingere.
Le spese del presente grado possono, tuttavia, essere compensate tra le parti, avuto riguardo alla natura della presente controversia.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quinta, definitivamente pronunciando,
Respinge l’appello.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 giugno 2024 con l’intervento dei magistrati: