Il Consiglio di Stato ha respinto – tramite sentenza – il ricorso presentato da una società del gioco pubblico contro il Comune di Bolzano e la Provincia Autonoma di Bolzano, in cui si chiedeva la riforma della sentenza del T.R.G.A., Seziona Autonoma di Bolzano, n. 226 del 29 giugno 2023, che aveva respinto il ricorso della stessa società contro la decadenza del provvedimento con cui in data 11 giugno 2013 l’amministratore delegato della società era stato autorizzato alla gestione di una “sala dedicata” sita a Bolzano (…), a causa della collocazione della sala a una distanza non sufficiente dai luoghi sensibili.
“Di talché – si legge nella sentenza -, la (…) ed il sig. (…) hanno interposto il presente appello, articolando i seguenti motivi:
Error in judicando. Violazione di legge. Difetto di motivazione. Arbitrarietà e ingiustizia gravi e manifeste. Errata valutazione degli elementi istruttori.
Il criterio del “raggio” previsto dalla L.P. n. 13 del 1992 si tradurrebbe in una semplice misurazione in linea retta, ma non potrebbe essere considerato un criterio valido per stabilire le distanze delle sale da gioco dai c.d. “luoghi sensibili”.
Tale previsione sarebbe affetta da incostituzionalità per violazione degli articoli 3, 41 e 97 Cost., atteso che, in contraddizione con gli obiettivi perseguiti dal legislatore provinciale, la stessa contemplerebbe un criterio virtuale e non reale, come quello del percorso pedonale più breve, per cui non sarebbe in grado di offrire adeguata tutela alle c.d. “fasce deboli”.
Dall’applicazione della norma basata sul solo dato letterale discenderebbero conseguenze illogiche, non proporzionate rispetto alle finalità perseguite e discriminatorie rispetto alle diverse attività economiche coinvolte.
Error in judicando per violazione di legge e difetto di motivazione. Violazione e falsa applicazione della direttiva 2015/1535/UE. Eccesso di potere per carenza o erronea valutazione dei presupposti. Eccesso di potere per carenza di istruttoria.
La sentenza di primo grado non sarebbe entrata nel merito della dedotta violazione della direttiva 98/34/CE, oggi direttiva UE 2015/1535, e non avrebbe affrontato la questione relativa all’effetto espulsivo del gioco lecito dal Comune di Bolzano; inoltre, sarebbe stato violato l’art. 41 Cost.
Il Comune di Bolzano ha analiticamente controdedotto ed ha concluso per il rigetto dell’appello.
All’udienza pubblica del 14 dicembre 2023, la causa è stata trattenuta per la decisione.
2. L’appello è infondato e va di conseguenza respinto.
3. Gli appellanti hanno dedotto l’illegittimità costituzionale, per violazione degli articoli 3, 41 e 97 Cost., dell’art. 5-bis della L.P. n. 13 del 1992 laddove ha previsto il criterio del “raggio” per misurare la distanza della sala giochi dai luoghi sensibili, atteso che tale criterio comporterebbe una distanza effettiva diversa, a seconda degli ostacoli di natura orografica o artificiale presenti sul territorio.
La doglianza è sia inammissibile che infondata.
3.1. La parte appellante non ha fornito alcuna prova o principio di prova del fatto che, seguendo un altro criterio, quale ad esempio il percorso pedonale più breve, siano assenti luoghi sensibili rispetto alla sala giochi (…), sicché non sussiste alcun concreto interesse alla censura e la questione di legittimità costituzionale si presenta di per sé irrilevante.
3.2. Ad ogni buon conto, la doglianza non è meritevole di accoglimento.
3.2.1. L’art. 5-bis, comma 1, prima parte, della L.P. n. 13 del 1992 così dispone:
“Per ragioni di tutela di determinate categorie di persone e per prevenire il vizio del gioco, l’autorizzazione di cui all’articolo 1, comma 2, per l’esercizio di sale da giochi e di attrazione non può essere concessa ove le stesse siano ubicate in un raggio di 300 metri da istituti scolastici di qualsiasi grado, centri giovanili o altri istituti frequentati principalmente dai giovani o strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o socioassistenziale”.
Ne consegue che, in ragione della chiara lettera della legge, l’Amministrazione è tenuta ad applicare la stessa seguendo il criterio di misurazione del “raggio” e non può applicare altri criteri a sua discrezione.
In altri termini, l’azione amministrativa si presenta in parte qua vincolata.
3.2.2. La questione di legittimità costituzionale, oltre che irrilevante, è manifestamente infondata.
La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 27 del 2019, ha evidenziato, conformemente a pronunce precedenti, le finalità di carattere socio-sanitario di discipline regionali recanti limiti di distanza dai luoghi sensibili, ascrivibili quindi alla materia della «tutela della salute» ed ha sottolineato che quasi tutte le Regioni hanno adottato disposizioni tese a individuare luoghi sensibili, prevedendo distanze minime dagli stessi, oscillanti fra i 300 e i 500 metri, per l’ubicazione di sale da gioco.
Di talché, rientra nella discrezionalità legislativa stabilire i limiti distanziometrici, con riguardo sia alla misura – tanto che la stessa, tra Regione e Regione, oscilla in una range piuttosto elevato – sia alla modalità di misurazione, con l’unico limite della ragionevolezza che, nel caso di specie, è sicuramente rispettato, in quanto il criterio di misurazione del “raggio” costituisce un criterio opinabile, ma non certamente implausibile.
4. Il Collegio ritiene che non sussiste alcuna violazione della direttiva 98/34/CE.
Le disposizioni provinciali in esame, infatti, non rientrano nell’ambito delle regole tecniche di cui alla direttiva 98/34/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998, oggi contenute nella direttiva UE 2015/1535, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi delle società d’informazione.
4.1. A tal fine, occorre richiamare le seguenti definizioni contenute nell’articolo 1, punto 2, della direttiva:
– “servizio”: qualsiasi servizio della società d’informazione, vale a dire qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi;
– “a distanza”: un servizio fornito senza la presenza simultanea delle parti.
Nell’allegato V (allegato I nella nuova direttiva UE 2015/1535), figura un elenco indicativo dei servizi non contemplati dall’art. 1, punto 2, secondo comma, e tra i servizi non forniti “a distanza”, alla lett. d), sono indicati i “giochi elettronici messi a disposizione di un giocatore presente in una sala giochi”.
Il punto 5 dell’articolo 1, inoltre, per “regola relativa a servizi”, intende un requisito di natura generale relativo all’accesso alle attività di servizio di cui al punto 2 e al loro esercizio, in particolare le disposizioni relative al prestatore di servizi, ai servizi e al destinatario di servizi, ad esclusione delle regole che non riguardino specificamente i servizi ivi definiti.
Pertanto, sulla base del descritto corpus normativo, è evidente che le disposizioni europee riguardano i giochi “a distanza”, non anche gli apparecchi, di cui all’art. 110, comma 6, Tulps, installati fisicamente presso le sale giochi autorizzate ai sensi dell’art. 86 dello stesso Tulps, dove il gioco è svolto di persona dal giocatore presente nella sala giochi.
4.1.2. A ciò si aggiunga quanto già evidenziato dalla Sezione nella sentenza n. 1618 del 2019, vale a dire che “gli articoli 36, 49, 52 e 56 TFUE ammettono le misure derogatorie in materia di libera circolazione delle merci e di prestazione dei servizi «che siano giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica». Per giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia UE, le restrizioni alle attività di gioco d’azzardo possono essere giustificate da ragioni imperative di interesse generale, quali la tutela dei consumatori e la prevenzione della frode e dell’incitamento dei cittadini ad una spesa eccessiva legata al gioco, sicché, in assenza di un’armonizzazione eurounitaria in materia, spetta ad ogni singolo Stato membro valutare in tali settori, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi di cui trattasi implica, ed ai giudici nazionali assicurarsi, in modo coerente e sistematico, tenendo conto delle concrete modalità di applicazione della normativa restrittiva di cui trattasi, che quest’ultima risponda veramente all’intento di ridurre le occasioni da gioco e di limitare le attività in tale settore (v. Corte di giustizia UE 22 ottobre 2014, nelle cause C-344/13 e C-367/13; id., 24 gennaio 2013, nella causa C-33/2013; id., 16 febbraio 2012, nelle cause C-70/10 e C-77/10; nonché Corte giustizia UE, 30 giugno 2011, nella causa C-212/08, secondo cui «gli obiettivi perseguiti dalle normative nazionali adottate nell’ambito dei giochi e delle scommesse si ricollegano, di regola, alla tutela dei destinatari dei servizi interessati e dei consumatori, nonché alla tutela dell’ordine sociale; siffatti obiettivi rientrano nel novero dei motivi imperativi di interesse generale che possono giustificare limitazioni alla libera prestazione dei servizi; anche le considerazioni di ordine morale, religioso o culturale, nonché le conseguenze moralmente e finanziariamente dannose per l’individuo e la società che sono collegate ai giochi d’azzardo e alle scommesse possono giustificare che le autorità nazionali dispongano di un potere discrezionale sufficiente a determinare, secondo la propria scala di valori, le prescrizioni a tutela del consumatore e dell’ordine sociale»). La Corte di giustizia ha, del pari, escluso la necessità di una previa comunicazione alla Commissione europea, ai sensi della direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998 (che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione), sulla base del rilievo che i principi di libera circolazione e di divieto di limitazione o restrizione presidiati dalle regole di trasparenza e pubblicità della direttiva 98/34 non sono né assoluti né generalizzati, rientrando, in particolare, la disciplina dei giochi d’azzardo nei settori in cui sussistono fra gli Stati membri divergenze considerevoli di ordine morale, religioso e culturale, in base alle quali restrizioni alle predette attività di gioco possono essere introdotte se giustificate da ragioni imperative di interesse generale, come, ad es., la dissuasione dei cittadini da una spesa eccessiva legata al gioco medesimo (v. sentenza 24 gennaio 2013, cit.)”.
4.3. Nello specifico, la Corte di Giustizia Europea, con la sentenza 24 gennaio 2013, nelle cause riunite C-186/11 e C-209/11, per quanto maggiormente interessa in questa sede, ha così statuito:
“20 Con la sua prima e la sua seconda questione, da esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio desidera in sostanza sapere se gli articoli 43 CE e 49 CE debbano essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che concede un diritto esclusivo avente ad oggetto lo svolgimento, la gestione, l’organizzazione e il funzionamento dei giochi d’azzardo ad un organismo unico, qualora, sebbene l’obiettivo della normativa nazionale consista o nel limitare l’offerta di giochi d’azzardo o nel favorire la lotta alla criminalità ad essi connessa, l’impresa cui è stato conferito questo diritto esclusivo persegua una politica commerciale espansionistica.
21 È pacifico che una normativa di uno Stato membro, come quella descritta dal giudice del rinvio, costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi garantita dall’articolo 49 CE o alla libertà di stabilimento garantita dall’articolo 43 CE, in quanto sancisce il monopolio dell’OPAP e vieta a fornitori come la Stanleybet, la William Hill e la Sportingbet, stabiliti in un altro Stato membro, di offrire giochi d’azzardo nel territorio greco (v., in tal senso, sentenza dell’8 settembre 2010, Stoß e a., C 316/07, da C 358/07 a C 360/07, C 409/07 e C 410/07, Racc. pag. I 8069, punto 68 e giurisprudenza citata).
22 Occorre tuttavia valutare se siffatta restrizione possa essere ammessa sulla base delle misure derogatorie, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, espressamente previsti dagli articoli 45 CE e 46 CE, applicabili anche in materia di libera prestazione di servizi in forza dell’articolo 55 CE, ovvero possa essere giustificata, conformemente alla giurisprudenza della Corte, da ragioni imperative di interesse generale (sentenza del 19 luglio 2012, Garkalns, C 470/11, punto 35 e giurisprudenza citata).
23 In tal senso, per giurisprudenza consolidata della Corte, le restrizioni alle attività di gioco d’azzardo possono essere giustificate da ragioni imperative di interesse generale, quali la tutela dei consumatori e la prevenzione della frode e dell’incitamento dei cittadini ad una spesa eccessiva legata al gioco (sentenza Garkalns, cit., punto 39 e giurisprudenza citata).
24 Al riguardo, la Corte ha ripetutamente dichiarato che la disciplina dei giochi d’azzardo rientra nei settori in cui sussistono tra gli Stati membri divergenze considerevoli di ordine morale, religioso e culturale. In assenza di armonizzazione comunitaria in materia, spetta ad ogni singolo Stato membro valutare, in tali settori, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi di cui trattasi implica (sentenza dell’8 settembre 2009, Liga Portuguesa de Futebol Profissional e Bwin International, C 42/07, Racc. pag. I 7633, punto 57 e giurisprudenza citata)”.
5. Con riferimento all’effetto espulsivo che sostanzialmente deriverebbe dall’applicazione della norma provinciale, occorre ancora una volta richiamare quanto statuito nella sentenza di questa Sezione n. 1618 del 2019, dalle cui conclusioni il Collegio non ha ragioni per discostarsi, la quale, a seguito di consulenza tecnica d’ufficio ed analizzando la stessa nel dettaglio, ha escluso che nel Comune di Bolzano la norma produca un effetto c.d. espulsivo delle sale da gioco lecito dall’intero territorio comunale, sia sotto il profilo dell’interdizione assoluta dal singolo territorio comunale, che sotto il profilo dell’abbattimento della raccolte e dei ricavi.
5.1. Infatti, la sentenza de qua ha rilevato che “alla luce delle risultanze delle due relazioni del consulente tecnico d’ufficio – redatte a conclusione delle operazioni peritali nel rispetto delle garanzie del contraddittorio e involgenti la necessità di una ricognizione dei vari territori comunali di ubicazione delle sale giochi delle parti ricorrenti – deve essere escluso che si sia verificato l’effetto espulsivo lamentato”, avendo osservato che “le simulazioni e i rilevamenti effettuati dal consulente tecnico d’ufficio hanno evidenziato la persistente sussistenza di uno spazio utile residuo nell’ambito dei singoli terrori comunali, bensì tendenzialmente ristretto, ma pur sempre idoneo e sufficiente per l’organizzazione economica delle attività delle sale giochi gestite dalle imprese odierne appellanti [v. la tabella 2.7. riportata nelle due relazioni peritali, con l’evidenziazione dell’estensione delle aree potenzialmente disponibili che consente la (ri)collocazione, in ognuno dei territori comunali in questione, oggetto dei due gruppi di ricorsi, di esercizi dedicati al gioco]”.
5.2. Il Comune di Bolzano, peraltro, nella propria memoria difensiva, ha fornito ulteriori elementi utili ad escludere il c.d. effetto espulsivo dal proprio territorio, precisando che, successivamente all’entrata in vigore delle norme parzialmente interdittive, sono state aperte numerose sale giochi (circa una decina).
L’Amministrazione comunale, inoltre, ha specificato che, ove riferita alla superficie insediativa del territorio, l’area disponibile per la collocazione dei giochi in Bolzano, in applicazione della normativa di cui all’art. 5-bis della L.P. n. 13 del 1992, risulta pari al 26,79%, tanto che sarebbe stato sostanzialmente accertato, a mezzo della consulenza espletata, che il valore di distanza che determinerebbe l’interdizione assoluta sarebbe di 600 metri, ossia il doppio di quanto previsto dalla norma.
6. Il Collegio, infine, rileva che la disposizione di legge provinciale restringe la libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost.
Tuttavia, il principio costituzionale dell’iniziativa economica privata di cui all’art. 41 Cost., in un’ottica di bilanciamento degli interessi ed in presenza di ragionevoli presupposti, deve ritenersi recessivo rispetto a quello dell’art. 32 Cost., che tutela il diritto alla salute, laddove sia messa in pericolo la salute psico-fisica dei cittadini.
D’altra parte, l’art. 41 Cost., nel sancire la libertà dell’iniziativa economica privata, dispone che la stessa non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e, al terzo comma, stabilisce che la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali.
Tale è il senso delle norme provinciali in discorso, che tendono a privilegiare la tutela, sia pure potenziale, della salute psico-fisica delle categorie più a rischio rispetto al pieno estrinsecarsi della libertà di iniziativa economica privata.
La Sezione, con la richiamata sentenza n. 1618 del 2019, in particolare, ha posto in rilievo che la disciplina de qua “realizza in modo plausibile il bilanciamento dei valori costituzionali in gioco tramite l’introduzione di criteri distanziali di localizzazione, idonei ad arginare in via preventiva le esternalità negative dell’attività d’impresa del gioco lecito sulla salute pubblica, con ciò concretizzando, nel settore di riferimento, la clausola del … contrasto con l’utilità sociale di cui all’art. 41, secondo comma, Cost. (nella quale rientrano anche le esigenze di tutela della sanità e della salute pubblica), e superando con ciò la norma limitativa dell’attività d’impresa il vaglio positivo di ragionevolezza, nel rispetto di tale principio generale enucleabile dall’art. 3 della Costituzione.
Infatti, premesso che deve ritenersi assodato che lo spostamento delle sale gioco in aree periferiche e la minore capillarità nella distribuzione delle stesse comportino una riduzione significativa del gioco negli apparecchi da intrattenimento in prevalenza nell’ambito della categoria dei giocatori consumatori occasionali/sociali, si osserva che, sebbene secondo le valutazioni del c.t.u. tale categoria di giocatori sia caratterizzata da un profilo di rischio assente o basso rispetto alla possibilità di sviluppare comportamenti patologici di gioco, l’introduzione del distanziometro, sotto il profilo della tutela della salute, ben può essere ritenuto un intervento idoneo ed efficace per prevenire forme di ludopatia, nella misura in cui il gioco occasionale sia interpretato come lo stadio iniziale di un processo che, ancorché in termini probabilistici, porti linearmente allo sviluppo di una dipendenza. Siffatta interpretazione, ancorché controversa nella letteratura del settore, si muove pur sempre entro i limiti dell’attendibilità tecnico-scientifica – infatti il c.t.u., nelle relazioni peritali, dà atto che «le tre categorie di consumatori descritte [ossia, quelle del giocatore sociale, del giocatore problematico e del giocatore patologico; n.d.e.] sono spesso implicitamente o esplicitamente collocate in un continuum che va dai giocatori sociali a quelli patologici e dunque interpretate da alcuni studiosi come differenti stadi di un’evoluzione in senso patologico del comportamento di gioco che, purtuttavia, va considerata come sequenza di fasi di un processo lineare solo per alcuni soggetti», citando correlativa letteratura –, sicché alla disciplina dei criteri distanziali dai siti sensibili può essere attribuita, in modo non implausibile, un’efficacia preventiva nella lotta a fenomeni di ludopatia. Occorre, sul punto, precisare che la discrezionalità del legislatore non va confusa con la discrezionalità (amministrativa e/o tecnica) dell’amministrazione pubblica, nel senso che la prima costituisce l’esplicazione delle scelte politiche degli organi investiti del potere legislativo e trova i suoi limiti nelle sole norme sovraordinate di rango costituzionale (ed, eventualmente, nel diritto eurounitario), talché la stessa, una volta rispettati tali limiti (compresi i principi di ragionevolezza e di razionalità intrinseca), non appare ulteriormente sindacabile (in sede di giudizio di costituzionalità)”.
7. In conclusione, l’appello deve essere respinto, in quanto infondato.
8. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in € 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge, sono poste, in pari misura (ciascuno per € 2.000,00), a carico degli appellanti ed a favore del Comune di Bolzano.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe (R.G. n. 5693 del 2023).
Condanna gli appellanti, in pari misura (ciascuno per € 2.000,00), al pagamento delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in € 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge, in favore del Comune di Bolzano.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa”.