Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, ha confermato il provvedimento di sospensione per 30 giorni della licenza di raccolta scommesse e di giochi disposto dalla Questura di Enna nei confronti di un esercizio pubblico dove era stata riscontrata la presenza di un totem attraverso il quale era possibile giocare d’azzardo.
L’8 luglio 2020, il personale delle Questura di Enna constatava la presenza presso i locali di un punto di gioco di un personal computer che avrebbe consentito alla clientela il libero e incontrollato accesso alla rete internet; al momento dell’accesso il dispositivo era utilizzato da un cliente per il gioco del poker online, tramite accesso ad una piattaforma telematica mediante inserimento di chiavi d’accesso, codice utente e password. Veniva, quindi, contestato al titolare del locale l’utilizzo di un apparecchio destinato, anche indirettamente, al gioco, in violazione dell’art. 110, comma 9, lettera f-quater, del T.U.L.P.S.; il personale della Questura ha provveduto, altresì, al sequestro dell’apparecchio ai sensi dell’art. 13, secondo comma, della legge n. 689/1981. In data 21 settembre 2020, il Questore di Enna adottava il decreto impugnato, disponendo la sospensione per giorni trenta giorni della licenza di pubblica sicurezza.
Avverso detto provvedimento – ritenendolo illegittimo – veniva proposto ricorso per i seguenti rilievi.
Secondo il ricorrente, dal quadro normativo delineato dagli artt. 8-13 del T.U.L.P.S., si evince che le autorizzazioni di polizia sono provvedimenti discrezionali, rilasciati intuitu personae; l’Amministrazione ha affermato nell’atto impugnato che il provvedimento veniva adottato a tutela del pubblico interesse, tuttavia nessun bilanciamento veniva operato e nessuna valutazione specifica era stata offerta dall’Amministrazione in ordine alla necessità della sospensione della licenza per finalità di tutela del pubblico interesse. Secondo la ricostruzione del deducente, quest’ultimo non si trova in alcuna delle condizioni contemplate dagli artt. 9, 10 e 11 del T.U.L.P.S., non avendo abusato del titolo di polizia, né avendo violato le disposizioni di legge in materia di giochi o le prescrizioni contenute nella licenza. Per l’istante, l’Amministrazione non può esercitare i propri poteri in modo arbitrario, omettendo di considerare la fattispecie concreta, il dettato legislativo, l’interesse che la stessa è chiamata e pretermettendo il doveroso bilanciamento tra gli interessi privati e la tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico. Il provvedimento impugnato, secondo il ricorrente, contiene valutazioni espresse in forma generica, senza alcuna specificazione in ordine alle prescrizioni che l’interessato era tenuto ad osservare e al contenuto dell’espressione “abuso del titolo”. Per l’interessato, l’Amministrazione si è limitata a recepire il contenuto dell’accertamento operato dai verbalizzanti e non ha considerato le dichiarazioni rese dall’interessato. Veniva rilevato che è stata anche ritenuta sussistente la violazione di cui all’art. 110, comma 9, lettera f-quater, senza considerare che, come dichiarato dal ricorrente e confermato da altri esercenti, il cliente aveva arbitrariamente sbloccato il personal computer, collegandosi alla piattaforma telematica di propria iniziativa. Secondo la prospettazione del ricorrente, sussiste anche la violazione dell’art. 3, primo comma, della legge n. 689/1981, non potendo rimproverarsi al ricorrente alcuna negligenza o imprudenza. In conclusione, la decisione impugnata veniva, quindi, assunta all’esito di una non completa istruttoria; veniva rilevato da ultimo che l’art. 110, comma 9, lettera f-quater, presuppone che siano stati installati o messi a disposizione apparecchi non rispondenti alle caratteristiche di cui ai commi 6 e 7, mentre l’interessato si era limitato ad installare un semplice personal computer-prenotatore che era stato manomesso dal cliente.
Il Tar, con sentenza del 3 gennaio 2023, ha respinto il ricorso dell’esercente sostenendo che “il gestore deve garantire l’immodificabilità e la sicurezza dell’apparecchio, anche con riferimento al sistema di elaborazione a cui l’apparecchio è connesso. Il ricorrente non lo ha fatto ed è, quindi, in colpa. La responsabilità è da ascriversi al ricorrente posto che lo stesso, ai sensi l’art. 110, comma 9, lettera f-quater, avrebbe dovuto garantire comunque l’immodificabilità dell’apparecchio (posizione di garanzia prevista dalla legge).